La libertà di apprendimento è libertà di pensiero?

Cosa succede ad un bambino lasciato libero di imparare? E’ questa la domanda che sta all’origine di Figli della libertà, l’ultimo documentario di Anna Pollio e Lucio Basadonne, i due autori del premiatissimo Unlearning, che tornano alla ribalta condividendo stavolta con il loro pubblico la strada educativa scelta per la figlia Gaia: lasciare la scuola istituzionale tentando un approccio più familiare, di homeschooling, che rispetti i tempi e gli interessi del bambino. Gaia frequenta una progetto di pedagogia libertaria dove viene riconosciuta ai bambini la capacità di decidere come, quando, che cosa imparare. Niente, voti, niente compiti, niente banchi. Ma se a livello teorico è tutto perfetto, nella pratica i dubbi arrivano presto. Si riesce davvero ad imparare fuori dagli schemi scolastici?

Il documentario segue il papà Lucio che mette in discussione la nuova scelta educativa quando si accorge che Gaia si sta “disallineando” dagli altri bambini. Si chiede se diventerà una outsider o una persona felice e realizzata. Per capirlo Lucio andrà alla ricerca di chi non è andato a scuola per rispondere alla domanda: chi cresce libero diventerà comunque schiavo? Anna, la mamma, insegnante in aspettativa, ha messo in discussione la sua vita nel sistema scolastico tradizionale. Se le cose davvero non funzionano, quanto è importante restare nel “sistema scuola” lottando per cambiarla dall’interno? Quanto è giusto educare all’obbedienza? Il documentario segue la piccola Gaia e i suoi compagni nel percorso pedagogico  in cui sono “liberi di imparare”. I figli della libertà mette in discussione la delega dell’istruzione chiedendosi se la scuola è un sistema di controllo che disciplina e limita la libertà o se è la nostra visione occidentale ed egocentrica a portarci a una perenne critica del sistema incapaci di accettare che quel sistema siamo noi stessi.

Il film è una critica feroce al sistema Statale dell’Istruzione, ma ancora di più, un attacco rivolto ad un modello educativo fondato su autoritarismo e nozionismo, sulla memorizzazione di informazioni e dati, che, secondo gli autori, appoggiati dalle tesi autorevoli di alcuni esperti del settore (pedagogisti, pediatri, sperimentatori etc), lasciano il tempo che trovano, riempiono la testa dei bambini di informazioni, ma non aiutano loro a trovare il proprio personalissimo percorso di crescita personale e la loro “autonoma” felicità.

Leggendo il documentario in chiave rousseauiana, [secondo l’essenziale concetto di “educazione negativa” : una buona educazione consiste nel preservare l’originaria bontà e purezza del bambino contro la “corruzione” della società che lo circonda], potremmo trovare un riflesso illuminista nel lavoro degli autori, per questa volontà di scardinare ciò che dai più è considerato come verità di fatto e “normale prassi”, recuperando una filosofia della natura. Così come per la società nuova di Rousseau è necessaria una nuova umanità, una generazione di cittadini consapevoli e buoni, di cui l’Émile è il primo rappresentante, qui si mostrano le “Scuoline” in cui i bambini sono lasciati completamente liberi di fare o non fare e senza regole imposte dall’alto. La figura geometrica che domina nello spazio delle loro relazioni con gli educatori e con i compagni è il cerchio, nel senso di una comunicazione circolare, tendenzialmente portata all’ascolto del prossimo, all’assemblea democratica per stabilire ogni aspetto o direzione delle attività da intraprendere. La parte positiva di questa sperimentazione educativa è senz’altro il tentativo di portare i bambini e futuri uomini di domani alla felicità, nell’intento di formarli ad una sorta di moralità naturale sin da piccoli, rendendoli capaci di rapportarsi correttamente con la comunità e di fargli ottenere così l’unica felicità possibile al di fuori dello stato di natura. Come per l’Émile di Rousseau nelle scuoline dell’home schooling la parola d’ordine è una educazione delle cose e non delle parole o dei concetti, il lavoro degli alunni non è testimoniato dalla quantità di cose scritte sui quaderni (frasi, problemi, parole) ma dalle cose fatte nella natura, le pietre raccolte per lo studio dei minerali, i serpenti vivisezionati per amor della scienza (una arcaica lezione di anatomia), la semina degli alberi per la botanica, l’esercizio della musica con percussioni e tamburelli. I bambini crescono allenandosi in un continuo esercizio delle libertà, in primis libertà di discernere e di crearsi una propria opinione sulle cose, senza imposizioni dettate da precettori. Ma, e qui veniamo alla criticità della sperimentazione illustrata, mentre nell’Emilio di Rousseau il precettore era sempre in grado di distinguere tra i bisogni dell’ infante e i suoi capricci, non siamo certi che lo stesso venga fatto in queste piccole scuole italiane. E’ molto sottile la linea rossa che separa la libertà dall’ anarchia e l’educazione imposta da una completa “non educazione”. Possiamo davvero pensare ad un mondo in cui la giusta fiducia riposta e restituita nei “bambini sapienti“ si traduca in una completa omissione dell’atto educativo? E’ davvero più responsabile e benefico un intervento pedagogico di tale tipo che per restaurare la naturalezza del rapporto dei bambini con il mondo e la loro autonomia di gestione, rende gli adulti responsabili di una tale scelta agnostica e sospesa?

Il documentario di Anna Pollio e Lucio Basadonne è certamente un prezioso spunto da cui partire per porsi tutte queste domande e per discutere sulla opportunità di proseguire nella direzione intrapresa, quella di un’educazione istituzionalizzata e sistemica, che, a volte, dimentica di sottolineare e valorizzare gli individui i bambini, soggetti fin troppo passivi di questa forma educativa. Ma davvero la scelta di crescere fuori dal sistema costituito sarà la scelta giusta? Non creerà un gap tra il bambino e il mondo in cui dovrà poi vivere e reinserirsi?

Le domande che il documentario fa venire a galla, sono le stesse che sono affiorate in noi alla visione di un altro recente bellissimo film: Captain Fantastic di M.Ross. Anche lì veniva problematizzato con intelligenza il tema dell’educazione degli adulti di domani… ma con un approccio forse più dubitativo, arrivando nel finale ad ipotizzare quasi una marcia indietro del Captain Fantastic sulla tanto sventagliata modalità educativa “libera” scelta per i propri figli. Lì il personaggio deve scontrarsi giocoforza con alcune criticità indubbiamente esistenti nella conciliazione tra la libertà di pensiero e di educazione e la vita dentro al sistema. Nel documentario di Basadonne/Pollio, forse l’unico punto debole è la veemenza con cui viene presentata la loro alternativa pedagogica, rendendo quasi inevitabile lo scontro tra la loro utopia educativa e le difficoltà oggettive della sua messa in pratica su larga scala, come se si trattasse infine di una soluzione adottabile solo per piccole élite di “fortunati” fruitori, in qualche caso economicamente avvantaggiati, date le rette piuttosto salate previste per la frequenza di tali scuoline, dai 300 agli 800 euro al mese, una cifra inarrivabile per la maggior parte dei genitori precari della nostra generazione. E non è certo una questione di priorità, come ha risposto qualcuno, quando la priorità, l’unica prima dell’educazione dei propri figli, è la sopravvivenza di una famiglia. Dunque concludiamo citando le parole di un vero illuminato presente nel documentario, Arno Stern, educatore tedesco inventore dell’ Educazione creatrice e fondatore della semiologia dell’espressione, il quale ricorda ciò che per noi rappresenta davvero il fulcro della relazione educativa, qualunque essa sia (scolastica o familiare, autoritaria o libertaria): la relazione affettiva, perchè “saranno bimbi felici quelli che vivono con adulti felici di passare del tempo con loro” ad imparare o ad insegnare. E’ questo che non andrebbe delegato, il tempo della vita da trascorrere coi nostri bambini a conoscere il mondo.