Vita reale di IBI

64 minuti di real life. Stavolta non per raccontare i successi e le baldanzose avventure di qualche vippettino su di un’isola misteriosa seguito dalle telecamere morbose e ammiccanti di una real tv o dell’ennesimo reality show. Andrea Segre con il suo bellissimo documentario, Ibi, restituisce dignità a questo genere di cinema ed all’informazione “real” a tutto tondo, mostrandoci frammenti di vita reale, fatiche, preghiere e sogni di un’immigrata africana, Ibi per l’appunto, che per i maledetti casi della vita è rimasta incastrata in una rete di permessi mancati, viaggi proibiti e sogni infranti.

Ibi sta per Ibitocho Sehounbiatou è questo il nome completo della donna protagonista del film che, per la prima volta in Europa, è interamente basato sull’auto-narrazione diretta e spontanea di una migrante, che racconta sé stessa e la sua vita in Europa ai tre figli rimasti in Africa. Ibi è nata in Benin nel 1960, e nel 2000, in seguito a gravi difficoltà economiche, ha accettato di affrontare un grande rischio per tentare di dare loro un futuro migliore: lasciò i bimbi a sua madre e accettò di diventare un corriere della droga viaggiando dalla Nigeria all’Italia. Il suo viaggio finì male, con l’arresto e 3 anni di carcere, a Pozzuoli, Napoli. Una volta fuori di galera, Ibi rimase ad aspettare il suo permesso di soggiorno fra le maglie di una burocrazia che non perdona e non conosce redenzione…senza poter vedere i figli e la madre per oltre 15 anni. Per questo decise di iniziare a filmarsi, per condividere con gli affetti lontani la sua nuova vita italiana, gli umori, i sogni, le speranze. Trovò un nuovo lavoro, reinventandosi fotografa, iniziò a guadagnare fotografando matrimoni, battesimi, feste religiose (cattoliche, evangeliche, musulmane, senza alcuna distinzione). Lo fece per ricostruirsi una vita, per guadagnare, per documentare la sua, quella che non poteva condividere con i suoi figli.

Attraverso immagini toccanti, perchè vere e dalla spontaneità disarmante, immagini che potremmo chiamare “home movies” essendo girate per lo più negli interni della casa di Ibi e a fini “domestici”, questa donna racconta sé stessa, la casa a Castel Volturno dove vive con il nuovo compagno, Salami, la passione per l’orto e l’Italia dove cerca di riconquistare la dignità di essere umano e la speranza in un mondo capace di concedere una seconda chance. Ibi ha fotografato e filmato con dedizione la sua vita in Italia per 10 anni. È così che questo film nasce (da un’idea di Matteo Calore e Andrea Segre) dalle sue immagini, dalla sua creatività, dalla sua energia. Si tratta di un viaggio intenso e intimo nel mondo difficile, vivo e colorato di un’artista visiva ancora sconosciuta.

Ci sono le immagini a volte sfocate e un poco mosse di Ibi che riprende Salami mentre imbianca la loro casa, o in occasione di qualche festa insieme. E poi ci sono quelle ferme e professionali del documentario…nelle quali spicca su tutto, l’assenza di Ibi, perché la protagonista, al tempo delle riprese di Segre, non c’è più. Ibi è morta nel maggio 2015 tra le braccia di suo marito, senza aver mai potuto far ritorno in Africa.

La scelta stilistica di Segre ci regala dunque un montaggio affascinante delle immagini realizzate in prima persona da Ibi, che raccontano il tempo presente dell’io narrante, il tempo di Ibi caratterizzato dalla sua “estetica”. Lo spettatore può seguire Ibi e immedesimarsi con lei assistendo al racconto della sua vita. E parallelamente sarà chiamato a testimoniare la sua condizione di sofferenza e di ingiustizia subita, nei frammenti in cui l’assenza di Ibi è raccontata dalle parole e dalle lacrime del suo compagno. “Siamo venuti qui con la nostra volontà e i nostri piedi ed è così che vorremmo tornare a casa, con la nostra volontà e i nostri piedi”. Sono queste le parole forti con cui Salami cerca di spiegare la condizione di chi migrante e senza permesso di soggiorno, è partito dal suo paese per una condizione di estremo bisogno, per una questione di vita o di morte (particolare spesso tralasciato dall’opinione pubblica nazionale) e vorrebbe farvi ritorno sapendo che, se vorrà, potrà essere il benvenuto in Italia anche dopo questo viaggio.

Con le sue riprese e la sua forza d’animo Ibi ci racconta la lezione che lei stessa ha dovuto imparare dalla vita, ossia che “nulla è impossibile”. A Castel Volturno Ibi ha aiutato e sostenuto attivamente il Movimento dei Migranti e dei Rifugiati, con entusiasmo trascinante, non solo per ottenere il suo permesso di soggiorno, ma anche perché ha creduto fermamente nella necessità di una lotta comune contro le ingiustizie che segnano le vite di molti migranti ovunque, in Italia, in Europa. Ibi ripeteva con fede e fiducia che “bisogna sempre andare avanti e camminare, camminare, camminare”. Peccato che, nel suo caso, sia stata la morte a dare lo stop e a lasciare per sempre il suo nome nella lunga lista “di quelli che aspettano”.

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