Vasco Brondi e la poesia sul palco

Ad aprire il concerto di Vasco Brondi martedì sera al Teatro Duse, c’era la giovanissima Mèsa, Romana classe 1991, nuovo talento del rock alternativo italiano, che ha potuto esibirsi in un teatro sold out per uno degli ultimi concerti de Le luci della Centrale elettrica.  

Con il tour nei teatri infatti Brondi ha deciso di festeggiare i dieci anni del suo progetto musicale e contemporaneamente dirgli addio: “Non so ancora spiegarmi del tutto il motivo, ma è una cosa che percepisco con grande sicurezza e serenità. Sento oggi di poter chiudere un progetto nato all’improvviso e con stupore dieci anni fa e che si è evoluto tantissimo nel tempo, cambiando insieme a me, regalandomi anche un futuro inverosimile. E’ arrivato il momento di alleggerirsi, di ripartire in altre direzioni e di farlo senza questo nome, credo sia rispettoso non utilizzarlo solo come sostegno o scudo”.
Coprifuoco è la canzone di apertura che con il suo testo dedicato alla multiculturalità di una malandata Europa scalda i motori dei musicanti e apre le danze di questa performance che rimescola un po’ tutte le canzoni prodotte dal 2008 con letture e racconti dell’Italia vista dal finestrino per milioni di chilometri, tra la Via Emilia e la Via Lattea.
La formazione che si esibisce sul palco è composta da Rodrigo D’Erasmo (violino), Andrea Faccioli (chitarre), Gabriele Lazzarotti (basso), Daniela Savoldi (violoncello) e Anselmo Luisi (percussioni).

A seguire Qui, Le ragazze stanno bene, I destini generali, Moscerini, Chakra con i loro testi ricchi di un nuovo realismo “futurista” che aspira a raccontare storie antiche e allo stesso tempo moderne, storie sempre eterne, di guerra, di popoli dimenticati, di ex-Jugoslavia, Africa e mujahidin, di donne (stanchissime ma combattive), di uomini spaventati ma ancora capaci di sognare le stelle. Una costante nei testi di Brondi è l’attenzione per i poveri, gli sconfitti, i dimenticati, l’entusiasmo per la multiculturalità e un accento di solidarietà per il sud del pianeta che spesso si traduce musicalmente in magnifici arrangiamenti contaminati con più sonorità dal mondo. Durante lo spettacolo Vasco è molto attento a instaurare un dialogo con il suo pubblico, al quale confessa piccoli gustosi aneddoti della sua vita privata (di quanto avesse timore di esibirsi a Bologna, vedendola, da ferrarese, come una metropoli inaffrontabile) e della sua lunga gavetta o a cui legge poesie del Cileno Roberto Bolaño Ávalos, dal quale mutua l’amore per l’idea del sogno, non come aspirazione impossibile, ma come possibilità di cambiare la realtà. E alla patina poetica di Ávalos Vasco Brondi è capace di coniugare con leggiadra ironia la “strafottenza nichilista” di Andrea Pazienza, citando per esempio un suo detto “Niente è impossibile solo che adesso non è ho molta voglia”.  Una sola cover interrompe il susseguirsi di testi originali e musiche delle Luci, un omaggio al “maestro” Giovanni Lindo Ferretti ed ai suoi CCCP, a cui tanto deve Brondi in termini di ispirazione, orientamento (politico) e pure sonorità ricercate e nuove: Amandoti. Racconta Vasco che nella sua adolescenza ferrarese fu fondamentale scoprire l’esistenza ed il successo di un gruppo come i CCCP, soprattutto nel momento in cui, ragazzino, scoprì incredulo la loro provenienza dalla provincia di Carpi. “I CCCP, ricorda Brondi, recitavano spesso un motto ‘la situazione è eccellente’, questo per me significava avere una responsabilità e non lamentarsi  della realtà e loro lo dicevano da Carpi non da Berlino, beh per me fu una vera illuminazione, voleva dire che per fare musica anche i nostri posti andavano bene, in realtà forse andavano anche meglio, perchè erano posti di una noia mortale!”.  

Il concerto prosegue per due ore tra primi successi in pieno stile grunge e ultime hit: C’eravamo abbastanza amati, Ti vendi bene, La gigantesca scritta Coop e per finire il bis di Mistica e una commovente versione acustica di A forma di fulmine che ci ricorda che “possiamo costruire pace e grandi opere / che prima o poi ritorneranno polvere …/… e fare caso a quando siamo felici / possiamo crescere ma ricordare per sempre / la tua piccola cicatrice a forma di fulmine / poi continuare a vivere / e non avere niente da perdere / poi continuare a vivere”.

Vasco chiude lasciando amplificatori e microfoni sul palco e venendo ad eseguire con tutto il gruppo l’ultimo pezzo, Questo scontro tranquillo, sulla ribalta, chitarre sottobraccio, violini e percussioni alle mani. Un altro modo per avvicinarsi al suo pubblico che lo ama, come fosse un giovane/vecchio confidente.