Son morto che ero bambino

Torna in sala, dopo la sua presentazione in gennaio in occasione del Giorno della memoria,  l’ultimo documentario della casa di produzione bolognese Movie Movie, Son morto che ero bambino – Francesco Guccini va ad Auschwitz.

Girato a marzo 2016 il film documenta la prima volta di Guccini ad Auschwitz: la pellicola nasce infatti dalla volontà di testimoniare l’esperienza diretta del cantautore in visita (per la prima volta nella sua vita) presso i luoghi della memoria per antonomasia, i campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau, che ispirarono nel 1966 il testo della sua canzone “Auschwitz – Canzone del bambino nel vento”.

In compagnia del Vescovo di Bologna, Matteo Zuppi e della classe 2°B della Scuola Media Salvo d’Acquisto di Gaggio Montano (sull’Appennino bolognese) in cui insegna la moglie del cantautore, Guccini compie questo viaggio verso le “tracce tangibili della barbarie umana”, per assumere una personale consapevolezza di ciò che in passato è potuto accadere quando la banalità del male ha preso il sopravvento sull’umanità.

Il film, partendo da uno spunto davvero interessante, poichè traccia una ideale linea di collegamento tra una forma di arte “leggera”, che è quella musicale e cantautoriale, ed un evento storico tragico di portata mondiale e carico di significati profondi per tutta l’umanità, a nostro avviso purtroppo perde la forte spinta propulsiva iniziale nel corso del suo svolgimento. Così, nonostante l’alto valore simbolico del viaggio intrapreso e del suo essere ripreso da una telecamera, si ferma allo stadio di puro documento, senza accendere nello spettatore gli entusiasmi di cui solo l’arte è capace. Complici di tale corto-circuito tra il messaggio che il documentario avrebbe voluto veicolare e il suo giungere a destinazione nel cuore degli spettatori, lo stile eccessivamente didascalico della regia e la ridondanza di una certa “retorica dell’olocausto”, dalla quale sappiamo non essere facile svincolarsi (v. ad esempio l’insistenza della macchina da presa sul filo spinato bagnato da lacrime di pioggia o sulla scritta all’ingresso del campo “Arbeit macht frei – Il lavoro rende liberi”). Lo stesso commento musicale del film, ad opera di G. Lenoci, sottolinea in modo pletorico la tragicità degli eventi passati sulla terra polacca, e non riesce ad accompagnare con fluidità le immagini, generando nello spettatore un sentimento quasi di insofferenza che lo allontana dal film.

La pellicola (girata in appena due giorni)  è suddivisa in due sezioni: la prima, quella del viaggio in treno lungo i binari che portano ad Auschwitz, è caratterizzata da una statica lezione frontale di Guccini e Mons. Zuppi agli scolari, intervallata da immagini di repertorio degli archivi Home Movies che raccontano la vita a Bologna in quegli anni (1966? o precedenti?): bambini che guardano treni in partenza in stazione, lo scarto di uova Pasquali…anche questa scelta di regia lascia alcune perplessità, su compatibilità e coerenza delle immagini di repertorio scelte con il racconto atroce delle crudeltà perpetrate durante l’Olocausto.

La seconda parte del film mostra Guccini calpestare il suolo di Auschwitz e momenti di commozione e sconcerto accompagnati dalle parole ispirate di Mons. Zuppi che sottolinea come “la disumanità sconcertante di ciò che è accaduto ci prende per la gola e non riusciamo a capire il perchè e il come…ma proprio questo contatto con la disumanità di questi luoghi ci renderà un po’ più umani” e ricorda anche le parole di un ebreo che stigmatizzò con semplicità  la tragicità dell’orrore così: “per gli altri ora sei un numero, per me sei tutto”.  

Dopo l’accorata raccomandazione di Guccini agli studenti “Allontanate i pregiudizi” il film si conclude, con numerosi primi piani del cantautore sulle note della sua Auschwitz… e a noi dispiace sempre di più non aver sentito le parole spontanee, per esempio, dei ragazzini di seconda media (cosa abbiano provato calpestando il suolo di Auschwitz, cosa abbiano capito, quali speranze per il futuro) su una esperienza così forte da vivere a 12/13 anni, o non aver approfondito il racconto dell’Olocausto, magari con qualche breve ricostruzione biografica di deportati del territorio regionale. Il film si posa sugli sguardi dei bambini, d’accordo, ma a nostro sentire, oltre allo sguardo ci sono le parole, e quelle delle nuove generazioni in merito a uno dei peggiori atti di violenza di massa perpetrati dall’uomo ad altri uomini, altri bambini, avrebbero potuto essere… salvifiche e portatrici di speranza, come quelle degli ebrei ammazzati furono portatrici di Memoria. 

Ascolta la canzone Auschwitz di F. Guccini