“Ricordi?” e il tempo imperfetto

Ricordi? è il secondo lungometraggio del regista Valerio Mieli presentato a Venezia per le Giornate degli Autori e vincitore del premio del pubblico, uscito in sala il 21 marzo scorso grazie ad una coproduzione italo francese Bibi Film – Les Films d’Ici di Rai Cinema e Cattleya. A dieci anni di distanza dal suo primo film Dieci inverni, premiato sia ai David che ai Nastri d’Argento come miglior esordio del 2010, Mieli ritorna su un tema evidentemente a lui caro, e indubbiamente ricco di interconnessioni multidisciplinari (con la psicoanalisi, la filosofia, la scienza) che qui potremmo definire come il tema del tempo dell’amore.

Mentre nella sua opera prima, dunque, vedevamo i due giovani protagonisti (Isabella Ragonese e Michele Riondino) accompagnarsi e rincorrersi in un percorso di crescita personale fino alla maturazione di una scelta amorosa sopraggiunta dieci anni dopo essersi incontrati, in questo secondo film i personaggi (che non hanno un nome, in quanto potrebbero rappresentare l’essenza stessa dell’amore in maniera universale) interpretati dagli intensi e affiatati Luca Marinelli e Linda Caridi, si incontrano, si innamorano crescono insieme e si influenzano a vicenda, vivono quello scambio simbiotico che per molti è alla base della relazione amorosa, fino ad invertire le loro parti, perdersi, lasciarsi per poi tentare di ritrovarsi quando ormai tutto sembrerebbe perduto.

Nella apparente banalità del soggetto prescelto dal regista (un’altra storia d’amore) si nasconde la seducente sfida del film: restituirne in modo quasi naturalistico la percezione soggettiva di chi la vive. Soffermandosi in particolar modo a ragionare dell’essenza non tanto e non troppo dell’amore in sé, quanto delle sue tempistiche interiori, interrogandosi sulla valenza del presente come passione, del passato come idealizzazione e del futuro come speranza.

Grazie all’uso di un montaggio tutt’altro che lineare, ma profondamente complesso, il film dipana la sua trama muovendosi all’interno di un tempo imperfetto, dove il presente vive di ricordi e i ricordi invadono il presente con una congerie inesausta di “quando eravamo”, che tessono le lodi di innumerevoli memorie. Come nella migliore tradizione filosofica di stampo platonico, ogni cosa che accade nella vita dei protagonisti sembra collegata ad una reminiscenza di una vita precedente o meglio, di una età, precedente a quella del momento narrato. La memoria che il film cerca di scandagliare è quella ricca di una accezione anche più aristotelica, in quanto si tratta di una memoria, che aggiunge un aspetto di consapevolezza di sé stessa.

Nell’atto del ricordare il protagonista tenta di trattenere il senso delle cose operando una distinzione tra ciò che è importante e ciò che può essere lasciato in balia dell’oblio quotidiano. “Il ricordo mente, rende belle delle cose che non lo erano” oppure “Alla fine le cose sono belle perchè sai che finiranno”? Sulla spinta di questo interrogativo estetico si dondola sull’altalena di una anamnesi interiore e soggettiva che pervade la messa in scena in ogni fotogramma, mescolando ricordi d’infanzia (belli o brutti), e momenti della storia d’amore dei protagonisti nelle fasi alterne del suo avvenire. L’interconnessione stabilita tra i piani temporali, il fluire del tempo in modo intrecciato tra le sue dimensioni di presente passato e futuro è reso iconograficamente da dissolvenze, sovrapposizioni, stacchi al nero, un uso materico della luce più vivida e dalle tonalità accese nel presente, più livida e buia negli intarsi della memoria.

Ma anche le geometrie degli spazi (vasti colonnati e linee ferroviarie viste dall’alto) e le ambientazioni (il bosco con filari di alberi simmetrici, le piscine termali dalla forma circolare chiusa), l’assenza quasi totale di auto o telefonini suggeriscono la presenza di un determinato luogo come scenario della storia hic et nunc, un luogo atemporale, sospeso in una sorta di astrazione che lo rende universale. Un cosmo, quello evocato dal film, dipinto con uno stile onirico che a tratti (per l’uso della nebbia come ostacolo alla visione) richiama in noi sensazioni felliniane, a momenti invece, soprattutto per lo sfalsamento dei piani temporali e l’incedere alternato della narrazione per suggestioni, ci fa rivivere una esperienza di visione simile a quella vissuta solo guardando L’anno scorso a Marienbad di A. Resnais, un film “dove, ridotta a mera apparenza, la realtà diventa polisensa” (Morando Morandini).

Ricordi? è del resto un film totalmente impressionista, nel quale il paesaggio assume senz’altro una dignità poetica, essendo l’immediato specchio delle emozioni vissute dai suoi personaggi e dove è notevole la ricerca del regista nei confronti dell’elemento formale dell’immagine: l’uso di sovrimpressioni, dissolvenze, variazioni di fuoco, gioco di specchi, elementi grafici, ogni genere di manipolazione dell’immagine torna utile per esprimere la soggettività dei personaggi, le loro emozioni, i pensieri, le impressioni, i ricordi.

L’operazione magnificamente sostenuta dal talento empatico dei due protagonisti ci fa davvero tornare con la mente alle parole di Platone, nel Teeteto: “Supponi che vi sia nella nostra anima una cera impressionabile, in alcuni più abbondante, in altri meno […]: tutto ciò che desideriamo conservare nella memoria di ciò che abbiamo udito, visto o concepito si imprime su questa cera […]. E di ciò che si imprime noi ne conserviamo memoria e scienza finchè ne dura l’immagine”. Di questa immagine è come se Mieli avesse saputo farne con questo film una cosa eterna e universalmente condivisa: l’immagine della memoria.

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