Prove di dialogo in doppia coppia
Dobbiamo parlare nasce come testo per il cinema, approda sul grande schermo nell’ottobre 2015, con discreto successo al Festival del Cinema di Roma e successivamente viene anche messo in scena a teatro dal suo autore, attore e regista Sergio Rubini. Il copione, scritto insieme a Carla Cavalluzzi e Diego De Silva, è ritagliato su misura per il quartetto d’attori che gli hanno dato vita sia a teatro che sul set: Fabrizio Bentivoglio, Michela Cescon (in sostituzione di Maria Pia Calzone), Isabella Ragonese e lo stesso Rubini.
Nello spettacolo messo in scena al Celebrazioni di Bologna dal 13 al 15 dicembre, Sergio Rubini accoglie il pubblico alle 9 in punto con una introduzione…molto friendly. La sua scelta di regia lo ha portato a confezionare una messa in scena che si rivela come una prova aperta, attraverso la quale Rubini svela in maniera saporita alcuni “trucchi” d’autore, chiamando sul palco anche la sua collaboratrice alla regia Gisella Gobbi, per discutere possibili migliorie e fantomatici ritardi di attori in scena. Il tutto permette di calarci in una atmosfera completamente familiare. Come consentendo allo spettatore di mettersi comodamente in pantofole per assaporare i segreti del mestiere e il racconto di una storia che potrebbe appartenere a ciascuno di noi.
Come per il primo successo di Rubini, La Stazione del 1989 (all’opposto, nato per il teatro e poi riadattato per il cinema), la commedia si svolge in un unico ambiente, una casa con terrazzo (immaginario sul palco), durante una intera nottata trascorsa insieme da 2 coppie di amici. Senza un gran dispiego di scenografie, ma con la semplice efficacia che è propria delle prove aperte, il pubblico a teatro ha la possibilità di toccare quasi con mano il backstage del film, poichè l’unico ausilio utilizzato dal regista è una tenda a mezza scena che si alza e si abbassa per far apparire o scomparire i vari ambienti della casa, oppure l’uso delle quinte per i raccordi narrativi.
Dobbiamo parlare…altro non è che l’incipit più temuto e pauroso di qualunque discorso all’interno della coppia. Se c’è bisogno di reclamarne l’urgenza, di certo il dialogo deve aver abbandonato da parecchio quel rapporto. E qui di coppie che non parlano più ne sono descritte due. Una tipica coppia borghese, molto benestante, e logorata dai soliti problemi quotidiani, i figli da gestire, le proprietà, i domestici filippini, e nella fattispecie i tradimenti, e un’altra che, all’opposto, non condivide beni materiali o beghe gestionali, ma sta insieme “solo” per amore. Nel dipanarsi turbinoso di una sceneggiatura dal ritmo divertente e serrato che non lascia spazio a tempi morti e che procede con la cadenza scrupolosa di un orologio svizzero, attraverso la radiografia impietosa che Rubini e i suoi compagni fanno dei nostri tempi e delle coppie che li abitano, si giunge ad una amara conclusione: l’amore spesso non basta. A tenere insieme i cocci di un antico amore trasformato in qualcos’altro dalla ferocia della quotidianità, può esser sufficiente il semplice sentimento amoroso? Dei protagonisti si dirà “L’amore è il loro problema perchè a parte quello non hanno altro”.
Le linee del discorso si accavallano trasversali e sono tanti gli elementi in gioco, le crisi di mezza età che buttano gli uomini sulla 50ina tra le braccia di giovani amanti “Il mio è stato un grido d’aiuto”, o viceversa le mille insicurezze generazionali che spingono le trentenni a legarsi a uomini più maturi ed arrivati “E ora che faccio adesso non sono una madre, non sono una scrittrice, non ho un soldo in banca e ho già 30 anni”, e ancora le stagioni professionali che attraversano la vita di un creativo, da enfant prodige a scrittore in crisi, ma “se perdi il tuo pubblico devi porti delle domande”. E anche l’attuale situazione politica del Paese non passa indenne da questo testo che più volte la chiama ironicamente in causa: “Ancora con la destra e la sinistra? Ma lo vogliamo capire che sono tutti uguali? …Ma tu perchè voti PD? Dai amore non parlare così mi sembri Niky Vendola…!”
Si ride e si riflette con Provando…dobbiamo parlare, e il nostro consiglio è senza dubbio di non perdere uno spettacolo che è d’autore dalla testa ai piedi. Per il testo, per la maestria degli interpreti (esilarante Bentivoglio nelle vesti del pariolino “fascistoide”) e per il messaggio.