Napoli: la bellezza è negli occhi di chi guarda

Quando di un film si leggono voci e pareri discordanti, di solito significa che sotto c’è quasi sicuramente qualcosa di interessante.

Successe così per Cuore sacro nel 2005, che incassando “solo” € 2.990.597 sui 6 milioni stimati, fu considerato un mezzo flop al botteghino e un film , per i tempi, troppo “avanguardistico” o visionario. Eppure di Cuore sacro oggi diremmo che è uno dei film di Ozpetek che ha più lasciato il segno, proprio per la sua caratteristica di essere una voce nel cinema italiano “fuori dal coro” e di precorrere tante tematiche che già scorrevano nei polsi degli italiani forse ad un livello underground, e che solo successivamente sono venute a galla nell’immaginario collettivo (temi come la crisi di coscienza del capitalismo verso i suoi “poveri” sfruttati, o l’esigenza di un ritorno alla spiritualità perduta). Allo stesso modo, ci pare, che questo ultimo Ozpetek, questa Napoli velata abbia il sapore di un manifesto pubblicitario, meglio, una dichiarazione di amore per la città di Napoli, che non è solo la Napoli tanto bistrattata dalle ombre e dai peccati della sua Gomorra, ma è anche contemporaneamente la bellissima e sfarzosa Napoli città d’arte, città borghese, dalla potentissima carica erotica arricchita da una estetica tutta sua. Quello che travolge nel film è di sicuro il continuo gioco di rimandi simbolici, il bagno metaforico che ogni oggetto e ogni personaggio fa nella “mistica napoletana”. La protagonista Adriana /Mezzoggiorno sembra assumere il ruolo di donna napoletana per antonomasia, lei rappresenta la città in questa storia, Napoli è lei con la sua carica di tabù repressi o rimossi e la potentissima voglia di abbatterli allo stesso tempo, con le paure ed il coraggio. Affermazioni e contraddizioni che si rimescolano in un io forse malato o forse solo umano e sofferente, come la stessa città che lo incornicia.

E poi c’è nel film l’incantevole gusto per la citazione (voluta o incosciente), i rimandi ad Hitchock (il senso di vertigine di Vertigo, le scale a chiocciola) e De Sica (la scena di Ladri di biciclette in cui i protagonisti si rivolgono ad una santona per recuperare la bici), il virtuosismo delle immagini che mettono davanti alla MDP oggetti che assumono sempre un valore ambiguo e doppio di per sè, scale che sembrano occhi, occhi che richiamano fessure femminee, veli che anzichè coprire  la visione ed ottenebrarla la svelano, porte che si aprono e dividono il quadro in due. C’è molto Ozpetek in Napoli velata anche nel ripetersi di alcuni suoi tipici meccanismi di scena, appunto l’uso della città vuota ripresa per significare una assenza, il rumore dei passi che dichiara la presenza di una donna, le porte che si aprono e si chiudono per ritagliare nel racconto uno spazio significante del prima e del dopo, un contrasto reso evidente dalla sottolineatura di una perdita. L’uso delle scene corali, la ricchezza di un film fatto da un cast stellare: Peppe Barra, Lina Sastri, Isabella Ferrari, Anna Bonaiuto, Alessandro Borghi.

Napoli velata è un film bello non perchè sia privo di difetti, ma perchè tenta di percorrere una strada nuova, si approccia alla fusione tra due generi che solitamente non camminano di pari passo, il melodramma e il giallo. Percorre contemporaneamente più strade più filoni, lasciandosi guidare poi dai personaggi, per scegliere quali fila percorrere e quali lasciare  andare. Nel primo tempo, più riuscito, sicuramente il giallo ci appassiona maggiormente e sono tante le domande che prendono forma nella mente dello spettatore. Alcune di queste resteranno senza risposta, altre si perderanno negli sviluppi successivi. Di certo il colpo di scena è garantito e preservata la costante sensazione di ambiguità o “possibilità del tutto” che sempre permea i film del regista turco e che è ciò che noi viviamo come estremo patto di tolleranza: tra ciò che è e ciò che poteva essere. Per gli indecisi o per i sognatori: un terno al lotto, di una vita vissuta all’insegna di una fantastica ispirazione, quella della possibilità.