Massimo Ranieri rende omaggio a Viviani

All’interno di una cornice dorata e luminosa, Massimo Ranieri e Maurizio Scaparro portano il Varietà a Bologna: con uno spettacolo di quasi due ore, capace di intrattenere lo spettatore e rendere omaggio all’opera del grande drammaturgo Raffaele Viviani con le sue poesie, musiche e parole. La Napoli che viene portata in scena è la stessa cui, già cent’anni fa, Viviani guardava con amore e ironia, descrivendola con crudo realismo. Ad essere rappresentata è la teatralità degli emigranti, degli zingari, dei pescatori, dei guappi, dei gagà, delle cocotte, delle prostitute, insomma, il mondo della strada ovvero quel mondo che più fortemente colpì la fantasia dell’Artista. Una gran folla di personaggi e di figure, veri e propri blocchi umani e sociali, popolano le sue opere; Viviani analizza ed esprime questo mondo dal di dentro, realizzando una serie di ritratti di sconvolgente evidenza drammatica poiché sono uomini e donne «comuni» che non nascondono nulla e rivelano fino in fondo la tragica verità della loro esistenza.

A farla da padrone è la figura dell’emigrante, qui addirittura una intera compagnia teatrale, che capitanata dal suo direttore artistico, decide di partire, andare a Buenos Aires in cerca di fortuna perchè “Nei vicoli di Napoli abbiamo imparato tutto quello che dovevamo imparare, abbiamo pure imparato a dimenticarci di avere fame!”. E così gli attori diventano ambasciatori di un modo d’essere di una vita, che è quella descritta dalle parole del regista Scaparro:

“Esiste in alcuni di noi la memoria storica o il lontano ricordo di una Napoli vissuta mentre già stava cambiando. Questa preziosa memoria è stata, per Massimo Ranieri e per me, il primo filtro ma anche lo stimolo, dopo la felice esperienza di Viviani Varietà, per continuare a lavorare su un nuovo spettacolo che potesse avere come testimonianza di questo mondo, così ricco, la figura stessa di Raffaele Viviani attraverso il suo teatro (particolarmente quello degli atti unici), le sue parole, il suo canto scenico privilegiando così quel vitalissimo giacimento culturale e musicale che era la Napoli dei quartieri, quella parallela urbana (aperta all’influenza e alle commistioni con il teatro e il Varietà europeo) e di un altro sud che premeva sulla città. È nato così Teatro del Porto pensando ad uno spazio neutro sospeso tra il mare e la terra (quasi un “porto delle nebbie” come l’abbiamo chiamato durante le prime prove) uno spazio che favorisse lo scambio di conoscenza e di speranze che veniva dal mare e dove vorremmo che Raffaele Viviani ci portasse per mano attraverso il suo teatro e la sua musica per ricordare sogni e delusioni di una grande città, e per accompagnarci verso un futuro già cominciato scoprendo, anche grazie a lui, parole vecchie e nuovi significati come “mediterraneo”, “emigrazione” e, con un po’ di ottimismo, anche “cultura” e “teatro”.”

E c’è tutta Napoli nello spettacolo, illuminata da una luce di rinnovata attualità, soprattutto quando con alcune battute si fa riferimento alla crisi nera che porta il pubblico ad essere avaro di mance per i saltimbanchi, o quando si presenta uno degli attori, Nicola, costretto a fare il doppio lavoro per campare, di attore e batterista (e difatti egli recita e suona anche nello spettacolo sedendosi tra gli orchestrali). E c’è un grande Massimo Ranieri, istrionico direttore d’orchestra in questa polifonia di attori, cantanti e musicisti, trasformista di professione capace di dar vita a innumerevoli personaggi con il solo cambio di giacca e cappello, passando dall’affezionato primo ruolo di Scugnizzo al mariuolo, dal galeotto, al pappa, dal saltimbanco (di felliniana memoria) al gaga con bombetta nera in omaggio a Totò.

E infine ci sono anche le donne di Viviani. Sono popolane semplici, argute, sensuali, spicce e non si pongono angosciosi problemi sentimentali da risolvere; si tratta di donne schiette, popolane che vivono nella strada: fruttarole, sarte, lavandaie, venditrici ambulanti che suscitano e provano amori e desideri concreti. Gli amori qui si svolgono all’aperto, sotto il sole della città, nelle campagne infuocate o vicino al mare. Ma c’è anche l’amore «fatto in casa», nei bassi sordidi,  c’è l’amore struggente delle prostitute, che hanno bisogno di calore e di protezione, che vogliono illudersi d’avere al loro fianco un uomo pronto a menare le mani per farle rispettare: Bammenella è una di queste. Le storie raccontate da questo Teatro del porto  insomma, sono storie di miseria, di soprusi, di amori, di famiglie in rovina, di emigrazione eppure attraverso le parole, poesie e musiche risultano attuali oggi come all’epoca e sembrano accompagnare lo spettatore verso il presente, anzi, verso il futuro.