L’anima Bianca di una menestrella

Un anno esatto fa, assecondando la mia antica e smodata passione per Cristina Donà, mi misi a fare l’appello dei suoi dischi, per verificare, come facevamo un tempo noialtri nati negli anni ‘70, il possesso dell’intera collezione, live, inediti, dischi completi. E da questo lavoro di certosina collettrice saltò fuori, inaspettatamente, che c’era una cover di Donà che non avevo mai sentito, quindi un album, una raccolta di autori vari che non possedevo ancora. 

La canzone era “Ma l’amore no” di Bianca D’Aponte, l’album Anima Bianca: un disco tributo alla talentuosa cantautrice scomparsa nel 2003 (a soli 23 anni), che raccoglie alcune delle sue canzoni, reinterpretate per l’occasione dalla voce di 12 grandi artisti della scena nazionale. 

Dall’amore che è scaturito per quell’album intero e per la figura di Bianca D’Aponte nasce l’idea di questo contributo. In occasione di quello che sarebbe stato il suo 41° compleanno, vogliamo parlarvi di Bianca raccontandovi qualcosa che ne mantenga vivo il ricordo e la memoria e suscitando il vostro interesse per una persona che ha calpestato questo mondo, lasciando una traccia leggera, ma toccante ed incisiva.

Chi era Bianca D’Aponte lo abbiamo chiesto a suo padre, Gaetano, che dal 2004 gestisce l’Associazione Musicale Onlus Bianca d’Aponte e bandisce il Concorso nazionale per cantautrici “Premio Bianca d’Aponte Città di Aversa” (la cui XVII edizione è prevista per il 22 e il 23 ottobre 2021). Un concorso che ogni anno vede la partecipazione di centinaia di aspiranti cantautrici provenienti da tutto lo stivale, in cerca di un’occasione.

«Bianca era una ragazza imprevedibile, inafferrabile e mai banale. Disponibile con tutti; gioviale ed allegra ma con temperamento di fondo malinconico; si faceva carico dei problemi degli altri: immigrati, poveri, derelitti, ragazzi cui la vita non offriva grandi possibilità ed emarginati erano i personaggi cui tendeva ad avvicinarsi. Voleva essere per loro un riferimento ed era animata dal desiderio di aiutare chi le sembrava più solo e abbandonato. Le piaceva farsi carico dei problemi di questa gente, si metteva in prima fila per aiutarli, Bianca era generosa e molto sensibile, altruista. Forse era anche eccessiva in questo». 

…e quando iniziò a cantare?

«Bianca iniziò a cantare, per un motivo buffo. Soffriva il mal d’auto, come la sua mamma che su di sé aveva sperimentato che cantare aiutava a superare il problema. E così, sin da piccina, appena in auto si cantava a squarciagola e lei, da subito, si mostrò molto intonata. Poi, per nostra volontà, a sei anni cominciò a studiare pianoforte. Non fu mai troppo entusiasta di farlo, tant’è che a 13 anni, ultimate le medie ci disse: ora devo andare alle superiori per cui o studio o faccio pianoforte. Ovviamente scegliemmo lo studio, anche perché si cominciava a capire che Bianca non amava fare cose che le venivano imposte; d’altra parte non avevamo mai pensato che potesse diventare una concertista, volendole offrire sia la possibilità di passare in modo scanzonato il tempo con gli amici, sia un’alternativa per passare il suo tempo». 

Quando cambiò il suo rapporto con la musica? 

«Dai 13 anni in poi iniziò a vedere il pianoforte con occhi diversi, non era più il nemico, ma qualcosa che poteva servirle ad esprimersi, passare il tempo, divertirsi nella ricerca di accordi per accompagnarsi quando cantava canzoni che le piacevano. Da quel momento cominciò a manifestare un interesse nuovo e cominciò anche a frequentare amici con la sua stessa passione. Poi arrivò il primo gruppo, intorno ai 15/16 anni, e andava a provare nel garage di un amico». 

Che musica ascoltava Bianca? 

«Era onnivora, la musica la ascoltava tutta, in uno dei suoi primi concertini dal vivo, per l’orgoglio del suo papà, col suo gruppo propose una cover di Otis Redding (ndr. The dock of the bay). Educata al blues fin dalla tenera età…, così aveva scritto anche nel suo curriculum vitae, e questo era un vero riconoscimento per me, che ascoltavo questo genere di musica. Ma Bianca spaziava dal pop al folk al country. Per esempio una delle ultime musicassette che ascoltava era di musica irlandese, le cui atmosfere le piacevano molto. Poi certamente ascoltava anche De Andrè, Guccini, il cantautorato italiano tutto. Una volta ricordo che la accompagnai ad un concerto di Guccini al PalaEUR a Roma, Bianca avrà avuto 18/19 anni. Ci “informò” che aveva preso i biglietti con un suo amico, dicendoci che sarebbero andati in treno, con la speranza, per il ritorno, di prendere l’ultimo treno per Aversa alle 23. E se, come probabile, lo perdete? Dopo quello delle 23, il primo sarà alle 5 del mattino, rispose. Sicché, per evitare che restassero una notte intera in stazione a Roma, li accompagnai. 

Sprovvisto di biglietto, restai, invano, per ore in fila ad un botteghino. Poi la sorte mi fece imbattere in un giovane tenente dei Carabinieri, in servizio, cui raccontai il perché della mia presenza lì senza biglietto e lui, con grande cuore,  mi concesse il suo biglietto omaggio. Una volta all’interno, restai incantato da quei giovani che sapevano a memoria tutte le canzoni, ricredendomi sui giovani che mi apparivano tutti lontani dai nostri ideali!» 

E dopo il diploma?
«Appena diplomata volle iscriversi a Lettere Moderne, ma durò solo sei mesi fino a marzo dell’anno successivo. Era certo affascinata dall’ambiente e da alcuni professori, ma poi iniziò a manifestare la necessità di muoversi, andare in giro. Manifestò l’intenzione di iscriversi alla scuola di musica del Testaccio di Roma e di trasferirsi lì. Poi, dopo qualche discussione, si convinse che sarebbe stato preferibile il CET di Mogol. Fu lì conobbe tra gli altri Giuseppe Anastasi (autore di Arisa ed allora, come lei, allievo) e Oscar Avogadro, autore affermato e in auge, che dopo qualche anno divenne il suo pigmalione». 

Bianca prima di andare via era sul punto di incidere il suo primo disco…

«Dopo un paio di anni dalla fine della scuola di Mogol, Avogadro le scrisse dicendo che la Universal aveva cambiato dirigenza e che la nuova intendeva puntare sui giovani; così la esortò a passare da lui a Milano. Detto, fatto! Ma la Universal non fu netta nel rispondere alla proposta di Avogadro di prenderla in scuderia e quindi lo stesso Avogadro la portò  alla BMG Ricordi, dove, l’allora direttore, Paolo Corsi, le fece un contrattino che firmò a marzo 2003. Da ottobre ad aprile Bianca stette a Milano per lavorare al suo progetto. Scrisse nuove canzoni con i suoi produttori artistici, il citato Oscar e Bruno Marro, ne riadattò altre già scritte; questo allo scopo, come le insegnavano, di renderle più fruibili. Per tutto il periodo di permanenza a Milano lavorò come barista e non utilizzò mai la carta di credito che le avevamo dato». 

Di tutto questo lavoro milanese, dell’album che avrebbe dovuto incidere, non è rimasto niente? 

«Si certo, ci sono delle registrazioni, avevano messo su almeno una decina di brani. L’obiettivo era la pubblicazione del suo primo singolo a settembre, Bianca era divertita, si sentiva a tratti inadeguata, mi diceva, papà qua parlano degli stilisti che mi devono vestire, della chitarra che mi devono comprare, del gruppo che mi devono costruire sopra. Mia figlia era una tipa un po’ naif, il suo stile di abbigliamento era genere mercatino, così non si abituava a questa idea più costruita». 

Come avvenne l’incontro con Fausto Mesolella? 

«Da Fausto Bianca è arrivata per caso, perchè io insegnavo all’Industriale di Aversa e tra i miei colleghi del corso c’era la collega di lettere che amava il canto e strimpellava la chitarra, e un giorno per caso sentì Bianca cantare e ne rimase così stupefatta che insistette per farla sentire a Mesolella, la cui moglie Elisabetta era una sua amica. Così dopo mesi riuscirono a fissare un appuntamento. Fausto Mesolella incuteva soggezione e aveva la nomea di essere molto franco ed esplicito. Sicché io e la mia collega eravamo terrorizzati; l’unica tranquilla era Bianca! Mesolella era un personaggio, stava alla tastiera del computer, salimmo a casa sua, lo salutammo con riverenza, lui fece un cenno con la testa senza distogliere lo sguardo dal video, poi, rivolto a Bianca disse: canta. E lei: vabbè, canto. Si sedette sul divanetto e cantò due brani Anima scalza e Benvenuto anche a te. E lui disse bene, ma “devi uscire dal minore” perchè col minore nessuna casa discografica ti prende, una volta che sei arrivata e il pubblico ti conosce puoi fare quello che vuoi, ma all’inizio per essere accattivante devi uscire dal minore. Subito dopo, disse, tra un mese chiamami, facciamo due provini e li facciamo ascoltare a Caterina Caselli e portami anche un book fotografico». 

Subito dopo la scomparsa prematura di Bianca, lei e sua moglie avete messo in piedi l’associazione e il Premio musicale in memoria di Bianca. Ormai dal 2004 sono state portate avanti 16 edizioni, con altrettante madrine di chiara fama, chiamate ad onorare il ricordo di Bianca e rinnovarne l’eco del talento. Fino alla pubblicazione del magnifico Anima Bianca il CD (2014), che raccoglie 16 canzoni di Bianca, reinterpretate per l’occasione dalla voce di alcune tra le maggiori cantautrici italiane; nell’album è presente anche un brano interpretato dalla stessa voce di Bianca (Chicco di caffè). Come è avvenuta l’assegnazione di ciascun brano alle madrine?

«All’inizio avevamo tante canzoni, fin dalle prime edizioni io invitavo le madrine a scegliere due brani di Bianca da cantare in apertura e in chiusura del premio. Mettevo a disposizione tutto quello che avevamo escludendo qualcosa che era già stato scelto da altre. Di certo la Bianca che tutte hanno preferito è quella prima maniera, prima della trasformazione “discografica”, che è poi la Bianca che è rimasta. Come per Ninna nanna in re, che pur essendo stata scritta a fine luglio di quell’anno (il 2003), già quando ce la fece ascoltare la prima volta, si sentiva che aveva una impostazione alla prima maniera, da menestrella, piuttosto che da cantautrice pop, come la stavano plasmando. Infatti mia moglie glielo fece notare ma lei rispose questa l’ho scritta per me! Chissà forse l’aveva scritta anche per noi». 

Quanto di autobiografico c’è nei suoi  testi? O meglio qual è il testo più autobiografico di Bianca? 

«La canzone dove c’è più Bianca è Come Doroty, perchè c’è la necessità manifesta di trovare un mondo che le sia congeniale, un mondo dorato, ma non nel senso di ricchezza; l’ultima cosa che la attirava erano i soldi: quando accarezzava l’idea di riuscirne a  guadagnare,  già faceva le spartizioni, partendo dall’acquisto di una struttura adatta ad ospitare cani randagi, che erano una sua passione. E poi Benvenuto anche a te. Ma le sue non sono canzoni autobiografiche in senso stretto, semmai riportava qualche brandello delle cose che le erano capitate, o che aveva vissuto, qualcosa che le era rimasto impresso, per un particolare motivo. Finiva di mangiare, prendeva su la chitarra spegneva la tv e dopo dieci minuti ci diceva sentite questa canzone: non scriveva le canzoni separando il testo dalla musica, le scriveva simultaneamente e lo faceva in pochissimo tempo. Quando sembrava un pochino assente, rimuginava nella mente qualcosa che aveva a che fare con una canzone». 

Una frase celebre di Bansky dice che si muore due volte: una quando si smette di respirare e una seconda, quando qualcuno dice il tuo nome per l’ultima volta. E’ proprio per questo che ci ostineremo a mantenere vivo il ricordo di Bianca D’Aponte per molto altro tempo ancora e faremo sì che il suo nome e le sue canzoni non smettano di circolare e di passare di bocca in bocca. Perchè solo la musica potrà suggellare per sempre l’ immortalità di quest’anima Bianca, e come, scriveva lei stessa “Il tempo è tiranno e domani non ci sarai//come fare a non perderti io proprio non so /e chi lo sa cosa penserai /forse vivendo in fretta dimenticherai/ ma se conservi un posto piccolissimo per noi / dammi un segnale quando credi quando vuoi /sei nell’unica frase che io non so scrivere/ le parole più belle le inventerò per te”. Le parole più belle Bianca le ha inventate per noi. Continuiamo a cantarle per lei.