La lezione di Don Milani in Barbiana ’65

Barbiana, un paesino sperduto del Mugello a pochi chilometri da Firenze. Una canonica dell’Appennino, isolata nella sua arretratezza e povertà negli anni del boom economico. Un luogo dove Don Lorenzo Milani approda nel 1954, a soli 31 anni. In tutto una quarantina di anime, senza acqua, né luce, e nemmeno una strada per arrivarci. Cos’altro avrebbe potuto fare un parroco in un simile contesto? Don Milani decise di “fare scuola”. E con le sue lezioni rivoluzionarie in pochi anni Barbiana diventò un luogo conosciuto in tutto il mondo come esempio di una istruzione umanistica e virtuosa.

Alessandro D’Alessandro ritrova, dopo la morte del padre (docente di regia cinematografica al CSC di Roma ad allievi tra cui Bellocchio, Cavani, Agosti), le immagini girate a Barbiana nel 1965, anno del ciclone giudiziario che si abbattè su Don Milani accusato di “apologia di reato”, per il suo invito alla disobbedienza rivolto ai parroci militari, e decide di dare nuova voce alle parole di Don Milani e dei suoi ragazzi, «perchè esse possano spingersi il più lontano possibile». Il recupero integrale del materiale filmato dal regista Angelo D’Alessandro fa riemergere preziose, inedite e rarissime immagini di Don Milani, e raccoglie in 60 minuti una sequela di vere e proprie “gemme” introvabili, ancor più apprezzate per la loro epifania a cinquant’anni dalla scomparsa del sacerdote. Don Milani che legge stralci della “Lettera ai Giudici” seduto sulla sua sdraio, dice Messa, e ancora la lettura dei quotidiani, il lavoro manuale, la pittura, la scrittura collettiva.

Al girato del 1965 si aggiungono le immagini in bianco e nero provenienti dall’archivio della Fondazione Don Milani, trattate con dissolvenza tre D, e le interviste ad Adele Corradi, insegnante a fianco del parroco dal ‘63 al ‘67, Beniamino Deidda, ex magistrato tra i fondatori del doposcuola di Calenzano, Don Luigi Ciotti. Barbiana ‘65 – La lezione di Don Milani fa riemergere con forza l’attualità del messaggio del Priore e ricorda a tutti la sua grande esperienza intellettuale, radicale, utopica e politica.

“L’insegnamento di Don Milani non muoveva dal Vangelo, il Vangelo era semmai il punto di arrivo” (Deidda), ma la partenza era la Carta Costituzionale assunta come metro fondamentale per giudicare la scuola e la politica, nella sua scuola non c’era un crocifisso perchè il suo obiettivo non era educare alla fede, ma educare i cittadini a diventare sovrani e consapevoli, critici, persone che non si accontentano delle informazioni di seconda mano. Così ascoltiamo la voce di Don Lorenzo affermare “Io non chiamerei cittadino sovrano uno che non fosse in grado di intendere a pieno la prima pagina di un giornale”  questo per lui significava saper leggere. “Se la scuola vuole veramente influire sulla società, bisogna che contraddica le usanze» e ancora «le uniche armi che approvo io sono incruente e sono lo sciopero e il voto”. Una posizione politica radicale la sua, che fu spesso associata ai giovani radicali della sinistra democristiana guidati da La Pira.

E fu proprio Giorgio La Pira insieme agli esponenti della migliore cultura italiana (Lombardo Radice, Pannella, Giolitti, Fo, Silone), a schierarsi dalla parte di Don Milani per difenderlo dalle accuse diffamanti che lo travolsero un anno prima della sua morte. Ma il sacerdote si difendeva “Se la penna riesce a far rumore, attenzione, è evidente che lo scritto è efficace!”, e l’efficacia dei suoi scritti e delle sue parole, a distanza di anni resta intatta, anche grazie ad una sua dote particolare quella “assoluta mancanza di volontà di salire” per la quale “chi ha questa non volontà di fare carriera scrive come me, chi vuol fare carriera non scrive come me. Scrivendo come me non vi farete strada mai nella vita in nessun posto”. Era consapevole Don Milani, che schierandosi dalla parte dei poveri, degli ultimi, dicendo sempre la verità, agendo secondo coscienza, non è terrena la strada che si percorre.

Anche per questo “Barbiana era una scuola di democrazia dalla mattina alla sera”. L’obiettivo era mettere al centro la persona, educare alla libertà, mettere in cattedra gli ultimi. Una scuola pensata in senso politico per educare le teste dei cittadini di domani a ragionare in maniera critica e indipendente. Come recita la poesia del bimbo cubano citata nel film “El nino que no estudia, no es buen rivolucionario”.

Tutta la teologia la filosofia la politica di Don Milani era costruita sugli affetti, proprio come questa bellissima pellicola che trasuda amore: l’amore di un figlio per il padre regista e l’incredibile testimonianza ritrovata in un cassetto, l’amore di Don Milani per i suoi scolari e l’ammirazione di essi per il loro incredibile maestro, l’affetto e la gioia di Marcellino (il bimbo muto e creduto da tutti ritardato) mano nella mano col Priore che gli insegnava a parlare. Ci sono le immagini di un’Italia che non è più, un Italia di campagna, povera e desolata, un’aula minuscola e con le pareti tappezzate di cartine geografiche, il motto “I Care” a ricordare l’impegno, la responsabilità e poi ci sono le parole di Don Milani che spiccano sul fondo nero della pellicola. Una voce, la sua, che con la tipica cadenza fiorentina, sottolinea il suo impegno ad essere il sacerdote dei contadini, degli operai, dei poveri, dei comunisti, di quelli che non vanno in chiesa, degli analfabeti, dei più lontani di tutti coloro a cui dedicò la sua vita intera.

Le immagini di Barbiana ‘65 sono imperdibili per il loro valore di documento storico, e per il fatto di essere le uniche autorizzate da Don Milani. Altri registi, grandi firme del giornalismo, avevano provato ad ottenerle, ma solo D’Alessandro superò “l’esame” di Don Milani, che un giorno gli disse “se vuole può girare”. Don Milani, all’epoca già gravemente ammalato di linfoma, voleva che rimanesse ai posteri questo ricordo. Fino ad allora aveva potuto farlo solo il Prof. Ammannati, suo strettissimo collaboratore, che in realtà filmava solo i ragazzi con il preciso ordine di non riprendere nemmeno di sfuggita il Don. La novità eccezionale del girato di D’Alessandro fu che Don Lorenzo si presentava come protagonista, fu come se egli volesse che fossero immortalati tutti i momenti del suo fare scuola. Una sorta di testamento visivo.

La chiusura del film è sancita dalle immagini di Papa Francesco che di recente si è recato a pregare sulla tomba di Don Milani, dove il sacerdote ha voluto essere seppellito coi paramenti sacri e i suoi scarponi di montagna, sancendo così una sorta di riconciliazione tra la Chiesa e il prete rivoluzionario, che trasformò la sua scuola in “un ospedale di campo” con la capacità speciale di includere tutti, nessuno escluso. Proprio come la Chiesa del nuovo Papa vorrebbe essere una Chiesa che sa “sporcarsi le mani”.

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