“La La Land”, perchè io non ho volato…

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La La Land è un film a cui va sicuramente riconosciuto il merito di aver riacceso un focoso dibattito e dunque l’interesse sul musical, genere cinematografico tanto adorabile quanto bistrattato dal suo stesso ambiente. Un film che risulta quasi impossibile non commentare, una volta visto.

La pellicola mette in scena la romantica storia d’amore tra un’aspirante attrice e un musicista jazz, appena trasferiti a Los Angeles in cerca di fortuna.
Per sbarcare il lunario , tra un provino e l’altro, Mia (Emma Stone) serve cappuccini alle star del cinema nel bar all’interno degli Universal Studios. Sebastian (Ryan Gosling) è un musicista jazz che tira a campare suonando musica (che detesta) nei piano bar. Dopo una serie di incontri/scontri fortuiti i due intraprendono una storia d’amore che li condurrà a sostenersi reciprocamente nella realizzazione dei loro sogni.

Il lungometraggio, il terzo nella filmografia del giovane regista Damien Chazelle (classe 1985) dopo il successo di Whiplash (premiato col Gran premio della Giuria al Sundance Film Festival) si apre con una entusiasmante scena di ballo che, dispiegando 100 ballerini, costumi coloratissimi e acrobatiche coreografie (quasi parkour), eseguite a 38° centigradi sulla sopraelevata di Los Angeles in estate, accende da subito l’animo dello spettatore.

Purtroppo, questa rimarrà l’unica vera scena di danza corale in tutta la pellicola, relegando per i successivi 120 minuti, al ruolo di ballerini soltanto i due protagonisti, tutt’al più affiancati da sporadiche compagnie di amici. E questa per noi è la prima falla imperdonabile del film.

Di tutti i musical più amati della storia del cinema, a nostro avviso, fatta eccezione per la maestria e leggiadria della ineguagliabile coppia Ginger & Fred (spesso citata dal film nella assonanza di alcune coreografie) ciò che rimane stampato nella mente dello spettatore, così come nell’immaginario collettivo, e che li fa assurgere a “memorabilia” sono proprio le scene corali: ricordiamo Grease  per You’re the One That I Want in un Luna Park infuocato dalle esibizioni delle Pink Ladies e dei Thunderbirds, Moulin Rouge!  per il magnifico Tango Di Roxanne/Nicole Kidman, interpretato da un intero corpo di ballo di tangueri a fianco di  Ewan Mc Gregor, o Chicago per le esilaranti performance di Chaterine Zeta Jones, Richard Gere, Renèe Zellweger sempre accompagnate da brillanti coreografie di gruppo.

Così la promessa di divertimento che La La Land ci fa nei suoi primi spumeggianti minuti non viene ahimè mantenuta. E spesso la sensazione che ci prende durante la visione del film è che troppo esile e a tratti banale sia la trama (tutta costruita sulla retorica trita e ritrita del sogno americano e del “non sognarlo ma fallo!”) per permettersi di non essere nemmeno sostenuta da un solido apparato musical alle sue spalle. Ricordate Chorus Line? Beh quello si che era un musical! La perfezione delle scene di ballo e la grandezza delle composizioni musicali permetteva alla trama esilina di sopravvivere alla sua superficialità rivelandosi semplicemente funzionale allo svolgimento di un grandissimo spettacolo.

In La la land, ciò che più è mancato (salvo la prima scena) è proprio lo spettacolo. Certo sono amabili i due protagonisti nel loro dispiego di faticosi talenti nella danza a due o nel canto o nelle esibizioni musicali ottenute dopo esercitazioni di ore ed ore al pianoforte (per le mani di Gosling musicista erano state prese due controfigure poi inutilizzate). Ma questo spettatore non ha volato. Non sempre si riesce a spiccare il volo solo perchè si parla di sogni o sogni infranti (d’amore). E qui risiede probabilmente un altro difetto della pellicola: da un punto di vista narrativo si ha come l’impressione che le due tracce, musica e storia, scorrano su fili paralleli, ma senza mai raggiungere quella perfetta sintonia che fa di un musical, un grande musical. Togliete a La La Land le sue scene di canto: sarebbe ugualmente un film godibile e comprensibile. Provate a fare lo stesso con Grease o Singin’ in the rain:  non esisterebbero.

Complice di tale risultato, un montaggio che probabilmente concede troppo spazio a immagini e scene di raccordo, rallentando parecchio il ritmo generale del film e portando lo spettatore a guardare spesso l’orologio durante la visione. O forse l’ingenuità autentica dell’autore, che per condurci nel suo romantico iperuranio, prova a farci volare tra le nuvole e le stelle del Planetario di Gioventù bruciata, ottenendo però un risultato quasi posticcio, con il probabilmente non voluto richiamo ad alcune scene “volanti” di Mary Poppins, che fanno precipitare la scena in una voragine di sprovveduta semplicioneria.

Forse il pregio più grande dell’opera è quello di essere un tribute film, un omaggio al genere del musical, all’amore per il cinema, per il jazz o per l’arte in generale. E di aver ripescato il formato Cinemascope (tanto in voga tra 1952 e il 1967) per offrire un’atmosfera vecchio stile, insieme ad uno sfacciato colorismo. Come altri celebri colleghi sono stati delusi da una Emma Stone monocorde e un po’ allampanata, noi possiamo dirci delusi da Damien Chazelle di cui tanto avevamo apprezzato Whiplash, film probabilmente molto più musicale di questo La La land.

Da sempre i musical più apprezzati hanno fatto sfoggio di due ingredienti imprescindibili: ti fanno venir voglia di ballare e ti regalano un lieto fine. Chazelle non ci ha tirati giù dalle comode poltrone e poi ha pure deciso di rubarci il lieto fine (anche se con un ripensamento finale veicolato da un ottimo espediente cinematografico). Come perdonarlo?

Francesca Divella

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