“La febbre del sabato sera”: un generatore di miti

Probabilmente La febbre del sabato sera è uno di quei film su cui è stato scritto tutto e il contrario di tutto, dunque è davvero difficile affermare qualcosa di nuovo. Per questo abbiamo deciso di focalizzarci sulla sua fortissima valenza di generatore di miti. Dato che le icone immortali create dal film nel 1977 furono almeno tre: Tony Manero/John Travolta, i nuovi Bee Gees (svecchiata la loro musica dalla cifra più pop e rinnovata grazie all’uso della disco dance) e il saturday night di una classe operaia, (non più operaia), italo americana in cerca di riscatto.

Gli ingredienti indispensabili per poter parlare di un mito solitamente sono due: sacralità e rito. Un mito esiste in quanto narrazione investita di sacralità, al cui interno i protagonisti sono riconosciuti come eroi. Al tempo stesso il mito è la riduzione narrativa di momenti legati alla dimensione del rito. In La febbre del sabato sera tutta la narrazione, non tanto della vita di Tony Manero fuori dall’ Odyssey 2001 (la discoteca dove Tony e i suoi amici consumano il loro tempo libero), quanto di quella al suo interno, è rivestita di una sacralità totale. Dal momento in cui Tony varca la soglia del locale, il suo corpo si illumina di una luce nuova, e si fa simbolo, icona di una gioventù danzante e ribelle (anche se non abbastanza ribelle né particolarmente impegnata sul fronte politico né delle rivendicazioni sociali, ma piuttosto incline ad una sorta di nichilismo precorritore di quello più autodistruttivo delle generazioni successive), il suo dress code (camicie sintetiche e sgargianti con colletti a punta da raddrizzare prima di entrare in pista, pantaloni attillati con gamba a zampa, scarpe col tacchetto) lo ascrive nell’Olimpo degli eroi sempiterni del sabato sera e del ballo.

Il corpo di Tony sulla pista è sicuramente un corpo sacro. Forse è per via della sua stessa sacralità che esso non sarà “posseduto” completamente da nessuna delle donne del film (né Stephanie né Annette), ma soltanto bramato e idolatrato come un vero e proprio “spettacolo erotico” nel momento della sua esibizione sul dance floor. Non per niente il corpo di Tony Manero attraversa la pellicola come il vero protagonista che merita di essere guardato e ambito, e i movimenti della macchina da presa sottolineano questa operazione di “oggettificazione” di esso nel momento in cui lo seguono, con i numerosi carrelli e inquadrature mobili, stando spesso “quasi addosso alla falcata del protagonista (come nei titoli di testa) o in contre plongée sul suo corpo mentre si sposta nello spazio” (Claudio Bisoni)

Nella stessa misura in cui il corpo del performer diventa nel film oggetto di desiderio, sacro, il sesso per Tony esiste come pulsione alla quale saper rispondere con una sorta di autocontrollo o finale imperturbabilità. Appunto di “mascolinità passiva” parla nel suo saggio Claudio Bisoni. Come un vero Dio Tony Manero si aggira per l’Odyssey 2001 acclamato e desiderato da tutte le donne presenti, chi si offre di nettargli il sudore dalla fronte, chi vorrebbe consumare con lui ore di passione offrendogli manciate di profilattici, chi gli palpa il sedere accompagnandolo in pista. A tutte queste lusinghe il Divino Manero pare restare indifferente, superiore. Salvo poi scivolare in un goffo tentativo di violenza carnale malriuscito con Stephanie in macchina o addirittura divenire il protagonista passivo di uno stupro di gruppo nella scena finale con Annette sul Ponte di Verrazzano. Potremmo pensare che il sesso per Tony sia in fondo, piuttosto che passivo, di tipo autoreferenziale, essendo lui un adolescente di 19 anni che, come tutti i suoi coetanei, fatica ad entrare in relazione con ciascuna delle donne del film. In fondo in La febbre del sabato sera c’è anche nascosto il romanzo di formazione del giovane Tony che da adolescente alla ricerca della sua identità (chi vorrà essere? un grande ballerino o l’umile impiegato di una ferramenta?) si affaccia all’orizzonte della sua età adulta, in cui potrà scegliere di abbandonare “il ghetto” degli italo-americani,  la sua alienante famiglia e la periferia per tentare una fortuna migliore nella city, grazie all’amicizia ed alla evoluzione del personaggio suscitata dalla più matura “amica” Stephanie.

Questa evoluzione, lenta e quasi impercettibile, della personalità di Manero, passa per i classici riti di iniziazione o riti di passaggio da individuo a gruppo: il rito della vestizione per il sabato sera (celebrazione di quella dimensione dell’apparire così fondamentale per la gioventù), il rito del ballo in discoteca (declinato come esibizione individuale, ma anche come coreografie di più corpi coordinati tra loro nei movimenti), il rito del sesso “pubblico” in automobile, il rito delle botte da orbi alla ghenga avversaria dei portoricani, il rito della sfida a paura e morte nei segmenti girati sul Ponte di Verrazzano.

Assistiamo alla proiezione di La febbre del sabato sera come si assiste ad una liturgia, e la musica dei Bee Gees è come se ne fosse il salmo. Sarebbe impensabile oggi pensare allo stesso film con una colonna sonora differente. I due elementi sono ormai imprescindibili e strettamente interconnessi. Mitici. Tanto è vero che in qualunque pista sentirete risuonare le note di Stayin’ Alive, allo stesso tempo vedrete qualcuno accennare i passi delle coreografie di Tony Manero, dita puntate verso l’alto e gamba ad angolo. Questo fu un po’ il miracolo del film (restando sempre in tematica sacra): dare una seconda vita al gruppo di fratelli famosi per i loro impasti vocali e, dalla seconda metà degli anni settanta, per la cantata in falsetto, consacrare la loro colonna sonora (How Deep Is Your Love fu la prima a scalare le classifiche americane, seguita da Stayin’ Alive Night Fever) come disco più venduto di tutti i tempi, con oltre 30 milioni di copie vendute (24 settimane consecutive in testa nelle classifiche americane). Solo Thriller di Michael Jackson riuscirà a superare le vendite di Saturday Night Fever

Per tutte queste ragioni possiamo affermare che questo film è un’opera mito, un capolavoro diventato icona di quel tempo, un tempo ben definito come la fine degli anni ‘70, ma pure un tempo espanso, più generalizzato, quello della gioventù che si ribella allo status quo cercando nel ballo, o meglio, nel rito dell’uscita del sabato sera che porta poi al ballo, la propria via di fuga da banalità, prevedibilità, noia e staticità della vita adulta, finita, immobile.

La febbre del sabato sera è un‘opera mito, perché ha illuminato della sua aura sublime qualcosa che di sublime non aveva nulla (la disco, il sabato sera) trasformandolo in icone fruibili da un immaginario collettivo. Se è vero, come sostiene l’intera opera di Maurizio Cattelan, che un capolavoro esiste nel momento in cui diventano inevitabili i suoi “rovesciamenti irriguardosi” ossia che la desacralizzazione dei capolavori avanza inevitabile nello stesso momento in cui essi assurgono a miti e icone di riferimento allora “Citazioni, errori, travisamenti, tradimenti, attualizzazioni, cancellazioni, sono tutti passaggi necessari alla costituzione di un’icona”. E così che avremo la conferma di quanto La febbre del sabato sera sia un “mito d’oggi”…anche solo osservando quante parodie esistono del film di John Badham o di Tony Manero. A partire da John Travolto da un insolito destino di Neri Parenti, uscito solo due anni dopo in Italia (1979)…fino alla recentissima parodia “social” ad opera del Sindaco di Parma Pizzarotti, venduto ai suoi elettori come odierno Manero.

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