Il cinema di Valentina Cortese

Quel suo modo di brandire il braccio nello spazio disegnando delle anse sinuose nell’aria. Quella sua sensualità innata e un po’ nascosta. Una voce unica e proverbiale dalla vocalità profonda e smarrita. Questi ed altri sono i particolari tesori che verranno custoditi nel lascito immortale di Valentina Cortese. Ultima diva nostrana, la diva italiana per eccellenza, così tanto amata dall’amico Franco Zeffirelli, che in casa sua le aveva dedicato una stanza intera, battezzata Valentina appunto, come si faceva nell’antichità, per le divinità e i templi ad esse consacrati.

Una carriera cinematografica mastodontica, per una star al femminile che non ha conosciuto il limite del “sesso debole” o di genere, riuscendo a conciliare armonicamente nella sua filmografia i nomi di registi come Luigi Zampa, Carmine Gallone, Giorgio Simonelli con quelli di Alessandro Blasetti, Goffredo Alessandrini, Riccardo Freda, per poi passare alla internazionalità con Jules Dassin, Joseph L. Mankiewicz, Stanley Kramer, François Truffaut, Terry Gilliam, e senza farsi mancare il poker d’assi del cinema italiano Antonioni/ Rossellini/Fellini. Lavorò con gli attori più grandi di tutto il mondo dai nostrani Paolo Stoppa, Rossano Brazzi, Gino Cervi, Vittorio Gassman, Walter Chiari, Silvana Mangano fino a Orson Welles, Spencer Tracy, James Stewart, Audrey Hepburn, Ava Gardner, Humphrey Bogart, Anthony Quinn: nomi così ingombranti che pare quasi impossibile poterli associare ad un’unica filmografia.

Valentina Cortese era una trovatella allevata da una famiglia di campagna di Rivolta d’Adda, nell’hinterland milanese, abituata ad andare in giro scalza, cresciuta nella natura. Finché i nonni materni la inserirono nella Torino bene, facendole fare il primo salto sociale in alto: “La cosa che mi commuove sempre”  scriveva la grande attrice nella sua autobiografia Quanti sono i domani passati (Mondadori, 2012) “è stata l’infanzia con le stalle, i carrozzoni di fieno e i ragazzi che sognavo di sposare. Quel foulard in testa, el riòtt, non è snob e non copre la calvizie, ma cita il fazzoletto che tenevano le campagnole lavorando per proteggersi dal sole, è una carezza che mi accompagna”.

Durante la guerra aveva fatto un po’ di varietà con Anna Magnani. Poi arrivò il primo ruolo importante con Blasetti, aveva solo 17 anni quando recitò per La cena delle beffe, fra le donne sedotte da Nazzari, e già nel 1948 firmò il contratto con la 20th Century Fox. Sarà una regale Eleonora Torlato-Favrini accanto a Rossano Brazzi ed Ava Gardner in La contessa scalza di Mankiewicz. Hollywood fu per lei un’esperienza interessante, ma la nostalgia per l’Italia si fece sentire e “così sono corsa quando Antonioni mi ha offerto di fare quel ruolo in Le amiche (1955) – che le valse un Nastro d’Argento – Non avrei potuto vivere là tutta la vita mi mancava l’Italia la lingua gli amici”.

Negli States aveva trovato il suo primo grande amore, Richard Basehart, il Matto de La strada (1954) e il Picasso de Il bidone (1955), con il quale convolò a nozze nel 1951, per divorziare già solo 9 anni dopo nel 1960. Di questo primo importante uomo della sua vita resteranno il biasimo per il flirt con l’amica Giulietta Masina sui set di Fellini, a cui lei stessa lo aveva presentato, e il suo unico figlio Jackie, scomparso prematuramente nel 2015. Jackie era nato nel 1951, proprio l’anno in cui Charlie Chaplin lavorava a Luci della ribalta e propose a Valentina Cortese la parte della protagonista. Lei purtroppo dovette rifiutare per via della gravidanza e questo resterà uno dei pochissimi rimpianti della sua gloriosa carriera. Il dolore per la perdita dell’unico figlio la mise a dura prova (lei 92enne), parevano essersi prosciugate le lacrime. Alla stampa aveva dichiarato: “Non è mio figlio che è morto… Lui è volato via. Vita, ancora un ultimo giro di clessidra e lo raggiungo…”.

Valentina Cortese amava la vita come affermava allegra in una delle ultime interviste rilasciate alla RAI per Pino Strabioli “amo la vita e ringrazio ogni giorno di essere qui”. Era una donna sexy ed affascinante e il suo carisma travolgente era evidente a chiunque lavorasse con lei. Al cinema come a teatro. L’incontro con Strehler le permise di esprimere al meglio le sue doti di attrice drammatica. Massimo Ghini, che recitò per la prima volta con lei in Maria Stuarda nel 1983, ricorda “credo di avere avuto il privilegio di essere stato nell’ultimo grande spettacolo del ‘900, perché questo era Maria Stuarda di Schiller per la regia di Franco Zeffirelli, i costumi di Anna Anni dell’officina Cerratelli di Firenze, un melodramma di grande autore. Il costo della produzione per l’epoca fu di un miliardo e mezzo, i gioielli in scena erano veri… e Valentina in qualche maniera ha fagocitato lo spettacolo, oscurava tutti”. Indimenticabile, la sera del debutto, il cosiddetto “svenimento delle tuberose”, con la Cortese che si accasciò in scena tra le braccia dei suoi colleghi in costume, dopo aver inalato troppo profumo di tuberose nel suo camerino zeppo degli omaggi floreali degli ammiratori. Si narra che Berlino le tributò ben 48 minuti di applausi dopo la magnifica interpretazione de I giganti della montagna con Giorgio Strehler.

E anche in televisione Valentina non fu da meno. Nel 1971 era ne I Buddenbrook di Edmo Fenoglio,  grande produzione RAI dei primi teleromanzi trasmessi nel primo ventennio del mezzo televisivo. Fu ancora adorabile ne La granduchessa e i camerieri con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, operetta di Garinei e Giovannini, in cui fece rivivere il mito di Wanda Osiris. E impersonò Donna Prassede ne I promessi sposi  (1989) miniserie TV in tre episodi di Salvatore Nocita, insieme ad un cast di prim’ordine tra cui Alberto Sordi/Don Abbondio, Danny Quinn/Renzo, Burt Lancaster/Federigo Borromeo, Dario Fo/Azzeccagarbugli e Walter Chiari/Tonio. Alla sua prima messa in onda (novembre-dicembre 1989) lo sceneggiato fu visto da una media di 14 milioni di spettatori.

Ma il talento di Valentina Cortese fu sempre riconosciuto anche dal cinema d’oltralpe. Nel 1975 arrivò ad un passo dall’Oscar come miglior attrice non protagonista, grazie alla indelebile interpretazione di un’attrice smemorata nel film meta-cinematografico per eccellenza di Truffaut, Effetto notte. La vincitrice di quell’anno, Ingrid Bergman, (Assassinio sull’Orient Express) durante la cerimonia di consegna del premio si scusò pubblicamente con la collega e amica Cortese, che lo avrebbe meritato al posto suo.

Valentina era in confidenza con l’Olimpo del cinema internazionale, nel suo libro ricorda di Hollywood: “La prima sera mi sedetti al tavolo a parlare con la Garbo e Boyer, le ginocchia tremavano. E poi Marilyn che si temeva a darle un bacio perché sembrava di panna montata”. E Jules Dassin, che una sera le chiese “le dispiace se mi innamoro di lei?”. L’incontro con Lyz Taylor, l’amicizia con Alida Valli, che la mandava a ritirare i premi al posto suo per pudore. Fu la “madrina” di Audrey Hepburn nel 1952 per il film di Thorold Dickinson The Secret People, scegliendola lei stessa tra altre aspiranti al ruolo di sua sorella minore nel film, nonostante il regista cercasse un’ attrice bionda, per la sua abilità come ballerina e la sua grazia innata. Anni dopo fu sempre Valentina a raccomandarla a Wyler anche per Vacanze romane. 

Cos’altro avrebbe potuto essere una donna così se non una grande attrice, una diva appunto? Sempre a Strabioli confidò, “Se non avessi recitato forse avrei fatto la poetessa o la scrittrice, ogni tanto scrivo qualcosa, ma poi mi vergogno troppo”. Era questa la strada segnata per lei. Così come era scritto sul poster de La montagna di cristallo: “First Garbo, then Bergman, now Cortesa”.

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