Hitchcock/Hopper: la casa di “Psyco”

Hopper e il cinema: è la volta di Psyco di Hitchock, che il maestro girò in bianco e nero, senza star di prima grandezza e per giunta con un budget di serie B. Se Psyco divenne poi un capolavoro, candidato a 4 premi Oscar, maggior successo commerciale di Hitchock e punto di riferimento, lanciando addirittura un filone che sarebbe proseguito per decenni, questo successe anche in virtù del fatto che si tratta di una pellicola innegabilmente caratterizzata da una forte componente fotografica. Una pellicola non solo quindi squisitamente intrisa delle classiche componenti hitchcockiane (il gusto quasi infantile di sconcertare il pubblico, un congegno narrativo capace di creare suspense a tutti i costi ), ma anche fortemente hopperiana, se si considera la sua consistenza fotografica e il ruolo da protagonista giocato dalla luce, e per contro, da ombre e chiaroscuri, che si susseguono per tutta la durata del film.

Peculiare fu infatti la scelta del bianco e nero, insolita nell’epoca del Technicolor e del VistaVision, a cui sono state date nel tempo varie interpretazioni, ad esempio che la forte valenza espressionistica del contrasto fra chiari e scuri, luci e ombre sottolinei l’elemento drammatico e consenta la rappresentazione di una violenza sottile e insidiosa, o che il bianco e nero si associ alla duplicità dei personaggi, soprattutto di Norman, il cui viso spesso appare metà in ombra e metà in luce. Espressionismo presente a partire dalla casa del protagonista, Norman Bates, l’edificio vittoriano per il quale Hitchy trasse notoriamente ispirazione dal quadro di Edward Hopper House by the Railroaddel 1925.

Nel quadro la luce del sole che illumina l’edificio è abbastanza forte da proiettare ombre profonde sul maestoso palazzo, ma non così forte da scacciare un velo di tristezza che lo pervade. Il dipinto esprime uno dei temi centrali della poetica del pittore, l’alienazione della vita moderna, attraverso la raffigurazione di un isolamento fisico e anche psicologico. La Casa lungo le rotaie di Hopper è “il simbolo della perdita che si avverte quando il progresso moderno lascia una società agricola alle spalle” proprio come l’abitazione di Norman a ridosso del Bates Motel assurge a simbolo dell’abbandono che il protagonista subisce prima da parte della madre e poi della sua stessa mente.

Hopper a proposito del dipinto in una intervista dichiarò Quello che vorrei dipingere è la luce del sole sulla parete di una casa. Questo apparente interesse architettonico per un tipo di costruzioni che erano poi disprezzate dai più in quegli anni, anni in cui si celebrava più lo stile neoclassico degli edifici, denotava il suo maggiore interesse per l’introspezione dell’animo umano, solitario. Hitchcock, circa 35 anni dopo, riprese questa sensazione di alienazione tanto pregnante nel dipinto  e la fece sua ricreando la stessa atmosfera in Psyco.

Ma la residenza di Norman e della sua vecchia madre, non è l’unica traccia hopperiana che scoveremo riguardando il film. Oltre all’incessante gioco di luci (luci bianche e lattiginose che provengono dalle finestre, o la luce bianca quasi fosforescente del bagno in cui si consuma il delitto) e ombre (quelle fisse sul volto del protagonista), in due scene della pellicola in particolare, quella in cui Marion/ Janet Leigh prende possesso della sua stanza al Motel e quella in cui arrivano a cercarla la sorella/ Vera Miles e il suo amante Sam/John Gavin, notiamo una trave in legno del porticato del Motel che si frappone nel bel mezzo dell’inquadratura, quasi a dividerla in due metà esatte, da una parte il cattivo e le tenebre, e dall’altra la vittima e in seguito i suoi cari. Anche in questo caso, con un piccolo espediente , pare rimarcata la dicotomia non solo cromatica di tutto il film, nonché la sua innegabile parentela con la visione hopperiana del mondo. Ricordiamo che uno dei quadri in cui Hopper usò l’espediente del palo in mezzo all’immagine per dividere la scena , fu uno dei suoi più grandi dipinti, il Soir Bleu (1914), per il cui uso la critica vide l’influsso di Degas e di Toulouse Lautrec che erano soliti dividere gli spazi in tal modo.

Come fa notare anche Donald Spoto nel suo Il lato oscuro del genio (Lindau 2006) infatti “in Psyco abbondano, a livello visivo, le immagini di linee verticali e di linee orizzontali che tagliano in due lo spazio”, come nell’abitazione di Norman, alta e stretta, e nel motel, basso e allungato. Secondo Spoto, queste immagini di taglio “creano una costruzione visiva capace di rappresentare il conflitto vissuto dallo spettatore e quello dei personaggi”. Hopper e Hitchcock insomma paiono avere molto più di una casa in comune, come se le loro poetiche fossero entrambe pervase dalla volontà di ritrarre l’umanità sotto la spietata luce dell’alienazione, nel primo causata dalla vita moderna, nel secondo dalla perdita della ragione.

E se Hopper arrivò alle masse grazie alla sua capacità di rappresentare ciò che risultava inesprimibile a parole, ossia, questa sorta di solitudine esistenziale insita nella stessa natura dell’essere umano, Hitch lo fece grazie al suo enorme fiuto nell’anticipare i gusti del pubblico e nel “trastullarlo” portandolo per mano nelle sue visioni miste di suspense e divertimento. Non dimenticando però di caratterizzare i suoi personaggi mettendogli in bocca parole come queste: “Ognuno di noi è stretto nella propria trappola avvinghiato. E con tutti i nostri sforzi non ci spostiamo di un millimetro”. Buffo notare che in queste parole di Norman si possa ancora una volta ritrovare l’esatta descrizione della sensazione predominante davanti a numerosi quadri di Hopper: alienazione e immobilità.

Articolo apparso su : www.cinefiliaritrovata.it