“Gloria Bell” che cantando respira e respirando vive

Los Angeles. Gloria Bell è una donna di mezza età che non ha perso la voglia di divertirsi, ballare, cedere all’amore. Gloria è anche un ex moglie, mamma, nonna, lavoratrice, amica, vicina premurosa, amante appassionata, nel suo tempo libero si concede qualche drink, a volte fuma, canta alla guida dell’auto, sperimenta lo yoga, il paintball, sedute di risate di gruppo, ma soprattutto balla e ballando esprime tutta la sua bellezza e la voglia di vivere ancora intensamente, nonostante i suoi 50 anni e le difficoltà a trovare un uomo che possa tenerle testa.

Se avete come l’impressione di avere già visto questo film, non vi state sbagliando, perché Gloria Bell è il remake americano di Gloria, il film cileno (produzione, ambientazione, regia) che nel 2013 portò a casa l’Orso d’argento per la miglior interpretazione della sua protagonista Paulina García. Sebastián Lelio, il regista, premio Oscar nel 2018 con Una donna fantastica (primo cileno della storia nella categoria), a soli sei anni dunque dall’ottimo confezionamento del primo ritratto di Gloria che esaltò pubblico e critica, torna sui suoi passi e gira un remake shot for shot altamente celebrativo del personaggio. Con un vero e proprio atto d’amore per questa donna, per la sua nuova interprete, Julianne Moore, e forse anche per la donna in generale che potremmo azzardare qui essere ritratta come esempio di libertà (intesa come autonomia e capacità di autodeterminazione) ed energia vitale senza pari. Una donna in una specifica età della sua vita, che sembra godere di particolare fortuna nelle più recenti produzioni cinematografiche internazionali, quella di mezzo: Cinquanta primavere di Blandine Lenoir, Ella & John di Paolo Virzì, Sogno di una notte di mezza età di Daniel Auteuil

Numerosi nella storia del cinema sono i casi di remake di film girati dallo stesso regista a distanza di pochi anni, solo per citarne alcuni, Frank Capra, 1961, Angeli con la pistola remake di Signora per un giorno del 1933; John Ford,1953, Il sole splende alto remake de Il Giudice del 1933; Alfred Hitchcock, 1956, L’uomo che sapeva troppo remake del film omonimo del 1934; Roger Vadim, 1988, E Dio creò la donna remake del film del 1956. Tra le varie ragioni per tale operazione (l’evoluzione tecnologica, per esempio, il passaggio dal muto al sonoro, l’aumento del budget produttivo e l’accesso a grandi produzioni hollywoodiane) nel caso di Gloria Bell non ci pare di poter ravvisare altro movente se non quello riferito dallo stesso Lelio (accompagnato da uno più spiccatamente commerciale): Perché nutro un’ammirazione sconfinata per Julianne Moore. Mi avevano detto che adorava il film Gloria. La sua passione per il personaggio mi ha commosso ed alla fine la Moore mi ha detto: ‘Lo farei solo se lo dirigessi tu’. E io ho subito risposto: ‘Lo dirigerei solo se lo interpretassi tu'”.

Gloria Bell è soprattutto un ritratto non convenzionale di donna. Gloria si prende cura di tutti, consola la collega in procinto di perdere il lavoro, aiuta il figlio solo, scaricato dalla moglie con un bambino piccolo, sostiene la figlia nella sua scelta di diventare la compagna di un surfista svedese e madre giovanissima, si preoccupa persino della salute mentale del suo vicino di casa, informando la madre del suo crollo psicologico. Gloria è così tradizionalmente altruista e disponibile verso il prossimo, come ci si aspetta sempre ed ancora che una donna debba essere, che si arrende persino ad accogliere un gatto egiziano in casa sua, nonostante l’innata antipatia che le suscita.

Le innumerevoli mansioni che affollano la quotidianità di Gloria ci sono restituite in modo fluido ed immediato da un montaggio secco, che procede per una miriade di piccoli episodi quotidiani consecutivi. Nel primo come nel secondo film. A cambiare sembra essere solo lo scenario, nel 2013 una Santiago anche politicamente accennata dalle manifestazioni popolari sullo sfondo, ora una Los Angeles ideale e un po’ asettica; e poi l’atmosfera coloristica delle pellicole, in Gloria una prevalenza di toni caldi e luci reali, in Gloria Bell colori più accesi e luci eleganti (il viola in discoteca, l’azzurro dall’estetista, il giallo nelle scene più intime e private) come a caratterizzare il personaggio della Moore con un accento più mondano e raffinato rispetto al precedente più concreto della García.

Ciò che resta immutato è sicuramente la vena malinconica espressa per sottrazione. Ciò che Gloria non dice è quello che canta, e coincide con il desiderio inespresso di tutte quelle donne che come lei hanno cura degli altri, ma non sono ricambiate, hanno coraggio ma non sono premiate, amano e rischiano, ma non trovano un corrispondente maschile altrettanto audace e coraggioso. La figura di Arnold/John Turturro trova in questa seconda pellicola una esemplificazione magistrale dell’essere uomo e immaturo, amante inaffidabile e irresoluto, incapace di prendersi la propria parte di rischio.

Davanti a questa intermittenza maschile, Gloria porta da sola il fardello della propria esistenza, e canta ancora, canta nei dancing sulle note dei successi di Gloria Gaynor (I Will SurviveNever Can Say Goodbye) e della hit oggi quarantennale di Umberto Tozzi. Gloria canta sé stessa, esprime il suo pensiero soprattutto sovrapponendo la sua voce a quella delle canzoni a cui fa il coro, cantando respira e respirando vive.

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