Undicesimo film nella breve carriera autoriale di Antonio Pietrangeli, morto accidentalmente per annegamento solo tre anni dopo, Io la conoscevo bene (1965) è il suo capolavoro, sicuramente uno dei più amati dal pubblico e premiato con ben 3 Nastri d’Argento nel 1966: regista del miglior film, miglior sceneggiatura (firmata da Scola, Pietrangeli, Maccari) e miglior attore non protagonista (Ugo Tognazzi).

Tuttavia il film, probabilmente per la sua modernità di stile e costruzione narrativa, non fu molto amato dalla critica di allora. Gianluigi Rondi de “Il Tempo” scrisse nel dicembre ‘65: “… Nulla da eccepire sulle intenzioni letterarie di questo ritratto, che forse ripetendo vecchi temi, mirava a polemiche più profonde di quelle sin qua tentate da Pietrangeli, nell’ambito soprattutto di un’osservazione acuta e dolorosa del nostro costume contemporaneo. Purtroppo queste intenzioni non sono state adeguatamente servite né dal testo, né in molti casi dalla regia. Fra gli interpreti merita lodi Stefania Sandrelli, le si alternano a fianco anche se spesso fugacemente Nino Manfredi nella caricatura di un talent scout, Ugo Tognazzi umanissimo e persino patetico...”.

Non possiamo assolutamente esser d’accordo con Rondi, tanto meno dopo questa ennesima visione sul grande schermo del film, che ai nostri occhi, oggi più che mai, appare come una vera gemma del cinema italiano. Non tanto e non solo per la delicatezza e la pietà dello sguardo con cui il regista posa la sua cinepresa sulla vita e le illusioni di una ragazza di periferia, ma tanto più per la maestria con cui riesce a farlo, intessendo il suo racconto in maniera inconsueta e incredibilmente attuale anche a più di 50 anni di distanza dalla genesi del film. Co-protagonista indiscussa accanto alla emblematica performance della Sandrelli/Adriana, la musica: Mina, Gemelle Kessler, Endrigo, il commento musicale di Piero Piccioni, la musica non abbandona nemmeno per un attimo il racconto della vita di Adriana, ma lo rinforza con un sottotesto prepotente e virtuoso, capace di descrivere in modo emblematico il contesto sociale in cui si srotola l’intera vicenda. Grazie ad un montaggio fitto di flashback (non sottolineati come al solito da cambio colore o contrasto né da tendine o lampi di luce o altro, ma innescati quasi silenziosamente nel mezzo delle scene) ed al passaggio repentino da una scena ad un’altra del film, apparentemente senza soluzione di continuità, si dipanano i numerosi episodi della vita di Adriana, i suoi tentativi di arrivare al successo, insieme agli avvilenti fallimenti, gli affreschi di una varia e impietosa umanità, che approfittando giorno per giorno della sua ingenuità e fiducia nel prossimo, che finiranno per succhiarle fino all’ultima goccia della voglia di vivere.

Di Adriana dà una crudele definizione uno dei tanti suoi amanti, lo scrittore, declamando di lei che “le va bene tutto, è sempre contenta, non desidera mai niente, non invidia nessuno, è senza curiosità, non si sorprende mai. Le umiliazioni non le sente… le scivola tutto addosso senza lasciare traccia, come su certe stoffe impermeabilizzate. Ambizioni zero, morale nessuna, neppure quella dei soldi perché non è nemmeno una puttana. Per lei ieri e domani non esistono, non vive neanche giorno per giorno perché già questo la costringerebbe a programmi troppo complicati. Perciò vive minuto per minuto: prendere il sole, sentire i dischi e ballare sono le sue uniche attività. Per il resto è volubile, incostante, ha sempre bisogno di incontri nuovi e brevi, non importa con chi. Con se stessa, mai”.Ma nonostante venga presentata come una perfetta “deficiente”, come asserisce la stessa protagonista subito dopo, non è così che noi la vediamo, e il suo riscatto, doloroso e carico di dignità, il riscatto di una donna che tenta la via dell’emancipazione, in tempi forse non ancora maturi, sopraggiungerà al termine della pellicola, con l’atto finale, a finestra aperta.

Altro interessantissimo pregio del film è che Pietrangeli prese spunto dal ritratto di Adriana per raccontare il sottobosco della dolce vita romana, dell’ambiente del cinema che lui, da ex critico, conosceva molto bene. Si pensa che uno dei motivi per cui il film non fu amato dai suoi ex colleghi, fosse proprio questo mal digerito passaggio dello scrittore, dietro alla cinepresa.

Molti i momenti e i dialoghi indimenticabili della pellicola: fra i quali di sicuro c’è lo sfrenato tip tap – Treno che Tognazzi/Baggini esegue sul tavolo di un salotto su richiesta del vip di turno E. Maria Salerno. Curioso notare come i testi della scena si siano nutriti delle “chiacchiere” sui tabloid dell’epoca. Nel breve dialogo fra E.M.Salerno e Tognazzi infatti s’intravede un riferimento non tanto velato alla intensa ed epica storia d’amore fra Walter Chiari e Ava Gardner, che durò 4 anni dal 1954 al 1958, e che fece la fortuna di tanti giornaletti. Dice E.M.Salerno “Sapete Bagini è stato il più ricercato latin lover d’Europa, ha avuto persino un flirt con Ava Gardner…ah Bagì è vero che Ava si era innamorata tanto di te? Massì quando hai fatto quella parte nella Contessa Scalza…anzi alla fine sapete che le ha detto, cara Ava vai da chi ti pare vai da Dominguin, ma con Gigi Bagini niente da fare!”. Un riferimento che lascia l’amaro in bocca, tanto più perché così fedelmente agganciato ai fatti reali della biografia di Walter, e quindi usato per ritrarre un personaggio viscido e “patetico” come Bagini, un attore sulla via del tramonto.

Questo esempio dà la misura della materia prima di cui si è nutrita la scrittura di Pietrangeli e forse può darci anche la ragione del perché questa pellicola continui ad essere così attuale e moderna. Una fotografia della Roma di quegli anni, un affresco di spietata italianità ed egoismo ancora vivi ai giorni nostri, le stesse matrici di quei Mostri di risiana memoria, che dal 1963 in poi affollarono il panorama della commedia all’italiana, ma ancor più riempiono tutt’oggi i topoi della nostra nazionale identità.

Articolo apparso su: www.cinefiliaritrovata.it