Bertolucci è vivo. E parla con noi

Non è solo un’operazione alla memoria questo bellissimo documentario di Mario Sesti, Bernardo Bertolucci: no end travelling presentato in prima visione mondiale al 72° Festival di Cannes, nella sezione Cannes Classics, Cinecittà – I mestieri del cinema. Il film dedicato dal critico e regista Mario Sesti al grande Maestro scomparso lo scorso novembre, è un atto d’amore per il suo cinema, è una consacrazione della sua eterna immortalità in quanto autore e regista fra i più grandi di sempre.

E’ un inno infine alla proverbiale umanità di Bernardo, che pur essendo grande tra i grandi, non perse mai di vista il suo essere uomo. Come solo i veri poeti sanno fare. E lui di poesia si nutrì per la vita, poesia di cui sappiamo esser intriso il suo cinema.

Sesti apre il suo personalissimo racconto della persona Bertolucci, con una inquadratura non montata di Novecento, un treno in corsa, regalo del regista all’amico giornalista. Bertolucci gli regalò “l’inizio del cinema”. Quand’è che Bernardo si rese conto di non essere immortale? Sul set di Novecento, quando, a causa di un malessere provvisorio, aveva perso per qualche giorno la vista. Allora aveva 35 anni e, dopo film come Il conformista Ultimo tango a Parigi, era già considerato un maestro del cinema in Europa come in America. Aveva diretto il suo primo film a 21 anni e aveva lavorato per la prima volta su un set come assistente di Pasolini per Accattone. All’epoca era già una sorta di divinità del cinema d’autore: un critico inglese scrisse del Conformista che era girato con lo stesso virtuosismo di Quarto potere e due anni dopo, con Ultimo tango a Parigi, realizzava il più grande incasso del cinema italiano e allo stesso tempo un film che esplorava con tale profondità l’intreccio di desiderio, amore e morte da provocare la censura e subire il rogo del negativo, il destino di chi nella storia ha lottato per idee ribelli e rivoluzionarie (anche se Ultimo tango è forse l’unico film al mondo ad aver affrontato tale sorte). Per questo, si può capire perché a 35 anni, dopo aver sconvolto il cinema e anche un po’ il mondo, Bernardo Bertolucci era sorpreso di scoprire la propria vulnerabilità.

Lui che ha dovuto trascorrere gli ultimi anni della sua vita su una sedia a rotelle, ha potuto conoscere a fondo in prima persona la fragilità del corpo e la caducità dell’essere umano, spesso trasposta sullo schermo in film caratterizzati da una grande carica empatica ed affettiva come Il tè nel deserto, Piccolo Buddha, Io ballo da sola.

Questo film racconta dei molti incontri fatti tra Sesti e Bertolucci (a volte, su un palco, insieme a grandi personalità come Patti Smith, Wim Wenders, Gerard Depardieu, Marco Bellocchio), delle lunghe chiacchierate su film e registi, sul suo cinema e su quello, sterminato, che amavano insieme: la nouvelle vague, il cinema classico  hollywoodiano, Godard, Truffaut, Wilder e Pasolini.

Bertolucci aveva confessato a Sesti nei primi anni ‘90 di “non trovare più filmabile la realtà italiana, non riuscire a superare la profezia di Pasolini, l’omologazione di ogni valore la trasformazione di tutto in una monocultura, la distruzione delle realtà locali”. Dimostrava una sensibilità avanguardistica nella lettura del reale. E ancora, nella lunga conversazione inedita con lui, realizzata poco più di un anno fa, per una serie dedicata ai “mestieri del cinema”, il Maestro racconta dei suoi primi successi presso la stampa internazionale e l’ammirazione per i suoi film da parte dei nuovi registi americani degli anni ‘70 (uno per tutti Francis Ford Coppola che acquistò personalmente una copia de Il Conformista, per mostrare al suo direttore della fotografia sul set de Il padrino il lavoro di Storaro); dell’avventura con Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi, dell’indimenticabile serata degli Oscar per L’ultimo imperatore, con cui portò a casa ben 9 statuette dorate, soffiandole ad un competitor piuttosto affermato e untouchable nell’Olimpo dell’Academy, lo Steven Spielperg de L’impero del sole.

Uno sguardo di serena nostalgia e l’affettuosa narrazione di una biografia e una carriera indimenticabili, ravvivati dagli effetti digitali del videoartista Gianluca Abbate, che traducono le immagini nel formato di un negativo (giustapponendo tre inquadrature nello stesso frame) o danno profondità e spessore alle foto proiettate come se prendessero vita. La vita celebrata è quella di Bernardo Bertolucci, che con la sua opera ha lasciato una traccia indelebile nel cinema e nella vita di tutti coloro che all’infinito continueranno ad amarlo.

Il film sarà trasmesso su Sky Arte il 26 novembre prossimo alle 21.15 in occasione della ricorrenza del primo anno dalla scomparsa del regista.